The Way Back
Il film è basato su un libro di Slavomir Rawicz intitolato "Tra noi e la libertà", che racconta del trasferimento dell'autore in un gulag siberiano nel 1939 e della fuga da lui stesso organizzata due anni dopo quando, con altri sei compagni, attraversò la transiberiana e si diresse verso sud camminando per più di 6500 chilometri.
Solo un regista dalla carezza paternalistica per l'umanità tutta come Peter Weir, poteva riuscirci. Realizzare The Way Back utilizzando temi mastodontici non proprio originali - la lotta contro
la natura e il rimanere uomini nonostante l'inferno dei Gulag - senza il
budget del kolossal e ottenendo comunque un buon film e un credibile
affresco collettivo.
Come ci è riuscito Mr. Weir? Partendo dal romanzo di Slavomir Rawicz, Tra noi e la libertà (edito da Corbaccio) - basato su fatti realmente accaduti - e
raccontando il viaggio verso la libertà di sette evasi da un Gulag
siberiano, capeggiati dall'ufficiale polacco Janusz (Jim Sturgess).
Settemila chilometri per la sopravvivenza costituiscono il materiale
perfetto per far emergere la complessità della natura umana nella sua
essenza, oggetto privilegiato del lavoro del regista australiano.
Stenti, fatica, fame, imparare a investire sul gruppo dopo l'isolamento
della prigionia, dove la sfida per la sopravvivenza è singola e non
collettiva. Cosa ha salvato quel pezzo di umanità, cosa potrebbe
salvarlo ancora? L'altruismo, il desiderio di libertà, il potere del
branco e paradossalmente l'umorismo incarnato dal personaggio di Zoran (Dragos Bucur).
Il regista, come per i primi piani di Truman Burbank in The Truman Show e parafrasando l'atto creativo, intrappola i personaggi restringendo lo
spazio nel quale agiscono a discapito dell'azione. Ne emerge un puro distillato di sentimenti autentici ed incredibilmente realistici.
di Alessia Laudati