

La pecora nera

«Il manicomio è un condominio di santi. So' santi i poveri matti asini sotto le lenzuola cinesi, sudari di fabbricazione industriale, santa la suora che accanto alla lucetta sul comodino suo si illumina come un ex-voto. E il dottore è il più santo di tutti, è il capo dei santi, è Gesucristo». Così ci racconta Nicola i suoi 35 anni di "manicomio elettrico", e nella sua testa scompaginata realtà e fantasia si scontrano producendo imprevedibili illuminazioni. Nicola è nato negli anni Sessanta, «i favolosi anni Sessanta», e il mondo che lui vede dentro l'istituto non è poi così diverso da quello che sta correndo là fuori – un mondo sempre più vorace, dove l'unica cosa che sembra non potersi consumare è la paura.

Opere gentile, minuta, sincera nel suo essere un racconto privato, il
film evidenzia ancora una volta il modus operandi del suo creatore,
intenzionato a rappresentare una storia specifica che però possa
diventare in qualche modo simbolo, racconto storico ed insieme umano di
un'epoca del nostro Paese. Ambiente doloroso ed evocativo de La pecora nera è un manicomio, dove è rinchiuso da 35 anni Nicola, bambino difficile
negli anni '60 ed abbandonato al suo destino di degente nell'istituto. A
fargli compagnia il suo compagno di stanza, la suora che veglia su di
lui e soprattutto la sua fantasia.
Rispetto alle pagine del libro dello stesso Celestini da
cui l'adattamento è tratto - scritto insieme ad Ugo Chiti e Wilma
Labate – si nota immediatamente una fragilità di fondo che non dota il
progetto della robustezza necessaria ad un prodotto cinematografico. Ciò
che infatti è lo specifico del lavoro di Celestini, e funziona
ammirevolmente sulla carta o su un palco teatrale, al cinema deve essere
supportato da un testo maggiormente articolato e da un impianto visivo
più composito. La dolcezza e l'intimismo del personaggio di Nicola,
interpretato con grande aderenza dallo stesso Celestini, rimangono delle
sensazioni che alla fine stanno troppo attaccate al suo corpo ed al suo
volto, e non vengono trasmesse con la dovuta forza allo spettatore. La pecora nera è un film anche coraggioso, che propone dei forti spunti di riflessione
ed anche delle belle scene di poesia, ma non sembra possedere un
crescendo drammatico adeguato, e quindi spreca le fascinazioni che in
teoria avrebbe potuto regalare agli spettatori.
A risollevare parzialmente le sorti del lungometraggio, come già
anticipato, la bravura di Celestini-attore, volto vagamente stralunato e
surreale, che impreziosisce il suo ruolo con notevole dolcezza. Accanto
a lui un viscerale e come al solito efficace Giorgio Tirabassi ed una sorprendete Maya Sansa, qui molto meno impostata che in altre precedenti prove d'attrice.
Produzione evidentemente contenuta nei costi e destinata ad un pubblico
di nicchia, La pecora nera possiede l'entusiasmo e l'emozione
dell'esordio dietro la macchina da presa, ma purtroppo anche i quasi
inevitabili difetti. L'idea di fondo a tutto il lavoro passato di Ascanio Celestini si
rivela troppo sussurrata, delicata per essere tradotta in un film dalla
potenza emotiva davvero efficace. In questo modo l'opera rimane
interessante ma mai totalmente coinvolgente. Peccato.
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