Jersey Boys
Tratto dal musical vincitore del premio Tony, il film narra la storia di quattro giovanotti che provengono dalla parte sbagliata del New Jersey, i quali si uniranno per formare il gruppo rock icona degli anni ’60, The Four Seasons. La storia dei processi e dei trionfi, È accompagnata da canzoni che hanno influenzato una generazione, tra le quali “Sherry”, “Big Girls Don’t Cry”, “Walk Like a Man”, “Dawn”, “Rag Doll”, “Bye Bye Baby”, “Who Loves You” e molte altre.
VALUTAZIONE FILM.IT
TITOLO ORIGINALE
Jersey Boys
GENERE
NAZIONE
Stati Uniti
REGIA
CAST
DISTRIBUZIONE
Warner Bros
DURATA
134 min.
USCITA CINEMA
18/06/2014
ANNO DI DISTRIBUZIONE
2014
A Clint Eastwood basta inquadrare la foto del Papa inserita dentro una cornice insieme a quella di Frank Sinatra per trasportare istantaneamente gli spettatori in un determinato spazio e tempo, assicurandosi di conquistare la loro attenzione e i loro sentimenti. Esattamente all'inizio degli anni Sessanta, una finestra temporale legata a una certa purezza, una certa innocenza americana, quella in cui ancora gli USA non avevano realizzato la ferita profonda causata dalla Guerra in Vietnam.
I quattro protagonisti di Jersey Boys si rivolgono uno per uno alla macchina da presa creando con lo spettatore una dimensione di familiarità. Nel raccontare la loro storia vera - che include ascesa, caduta e processo di maturità dopo aver incassato i colpi della vita - è come se Eastwood andasse al galoppo senza mai rallentare né esitare. Non c'è alcuna forzatura nella sua messa in scena: sembra che il maestro, senza dubbio uno dei più grandi registi americani viventi, abbia fatto la scelta giusta nel filmare il “SUO” musical. Un lavoro incentrato su una generazione di italo-americani che aveva solo tre possibilità per sbarcare il lunario e uscire dal quartiere: arruolarsi nell'esercito, diventare un criminale, diventare una star. Soltanto due di queste opzioni erano accettabili per i ragazzi guidati da Frankie Valli.
Di solito, quando si adatta un celebre musical di Broadway, l'errore che molti film commettono è quello di alzare troppo il volume della musica e sparare una canzone dopo l'altra con il rischio di annoiare il pubblico, trattandolo in maniera passiva; Eastwood usa invece la musica come bottone finale di ogni sequenza, come se volesse incasellare personaggi ed emozioni ed immortalarli sulle celebri note dell'epoca. L'energia scorre dallo schermo alla platea e ci si ritrova in sala circondati da spettatori di quella generazione che piano piano battono i piedi, cantando almeno qualche strofa insieme ai protagonisti. Un effetto che può essere contagioso.
Quello di Eastwood rimane sempre un lavoro caratterizzato dal suo stile classico, questa volta però si nota anche un certo ringiovanimento della sua regia. È come se, approfittando della natura giovane dei suoi protagonisti, anche Clint corresse con loro, sfoderando una freschezza nel tocco e realizzando quello che è forse il suo film più vicino alla commedia da molti anni a questa parte.
Il suo musical respira e ci racconta la dimensione totale dei quattro personaggi senza trascurarne nemmeno uno. Gioia e dolore, divisioni e riconciliazioni, amicizia tra uomini e l'essenza di essere italiani negli USA in un'epoca in cui parole come onore e lealtà risuonavano come codice dell'anima di un vero uomo. Uscendo da Jersey Boys sappiamo qualcosa in più su questa identità, magari con un sorriso stampato sulle labbra e la musica ancora nel cuore. Fenomenali i quattro giovani protagonisti, totalmente sconosciuti al cinema. Standing ovation per Christopher Walken a cui bastano una manciata di espressioni con il contagocce per capire che è ancora uno dei più grandi attori viventi.
di Pierpaolo Festa
I quattro protagonisti di Jersey Boys si rivolgono uno per uno alla macchina da presa creando con lo spettatore una dimensione di familiarità. Nel raccontare la loro storia vera - che include ascesa, caduta e processo di maturità dopo aver incassato i colpi della vita - è come se Eastwood andasse al galoppo senza mai rallentare né esitare. Non c'è alcuna forzatura nella sua messa in scena: sembra che il maestro, senza dubbio uno dei più grandi registi americani viventi, abbia fatto la scelta giusta nel filmare il “SUO” musical. Un lavoro incentrato su una generazione di italo-americani che aveva solo tre possibilità per sbarcare il lunario e uscire dal quartiere: arruolarsi nell'esercito, diventare un criminale, diventare una star. Soltanto due di queste opzioni erano accettabili per i ragazzi guidati da Frankie Valli.
Di solito, quando si adatta un celebre musical di Broadway, l'errore che molti film commettono è quello di alzare troppo il volume della musica e sparare una canzone dopo l'altra con il rischio di annoiare il pubblico, trattandolo in maniera passiva; Eastwood usa invece la musica come bottone finale di ogni sequenza, come se volesse incasellare personaggi ed emozioni ed immortalarli sulle celebri note dell'epoca. L'energia scorre dallo schermo alla platea e ci si ritrova in sala circondati da spettatori di quella generazione che piano piano battono i piedi, cantando almeno qualche strofa insieme ai protagonisti. Un effetto che può essere contagioso.
Quello di Eastwood rimane sempre un lavoro caratterizzato dal suo stile classico, questa volta però si nota anche un certo ringiovanimento della sua regia. È come se, approfittando della natura giovane dei suoi protagonisti, anche Clint corresse con loro, sfoderando una freschezza nel tocco e realizzando quello che è forse il suo film più vicino alla commedia da molti anni a questa parte.
Il suo musical respira e ci racconta la dimensione totale dei quattro personaggi senza trascurarne nemmeno uno. Gioia e dolore, divisioni e riconciliazioni, amicizia tra uomini e l'essenza di essere italiani negli USA in un'epoca in cui parole come onore e lealtà risuonavano come codice dell'anima di un vero uomo. Uscendo da Jersey Boys sappiamo qualcosa in più su questa identità, magari con un sorriso stampato sulle labbra e la musica ancora nel cuore. Fenomenali i quattro giovani protagonisti, totalmente sconosciuti al cinema. Standing ovation per Christopher Walken a cui bastano una manciata di espressioni con il contagocce per capire che è ancora uno dei più grandi attori viventi.
di Pierpaolo Festa