Il traditore tipo
Durante una vacanza a Marrakech, una coppia inglese, Perry e Gail, fa amicizia con un appariscente e carismatico uomo d'affari russo di nome Dima, che si rivela essere un boss del riciclaggio di denaro appartenente alla mafia russa. Perry e Gail accettano di aiutare Dima a fornire informazioni confidenziali ai servizi segreti inglesi, ritrovandosi cosÌ coinvolti nel mondo dello spionaggio politico internazionale. Tra Parigi e Berna, le Alpi francesi e i bassifondi di Londra, la coppia vive un pericoloso viaggio che li porterÀ a stringere alleanza con il governo britannico tramite uno spietato e determinato agente segreto dell'MI6.
VALUTAZIONE FILM.IT
TITOLO ORIGINALE
Our Kind of Traitor
GENERE
NAZIONE
United Kingdom
REGIA
CAST
DISTRIBUZIONE
Videa
DURATA
107 min.
USCITA CINEMA
05/05/2016
ANNO DI DISTRIBUZIONE
2016
Non siamo ai livelli del tagliente e cupo La talpa (ma non tutti i film possono essere dei capolavori) o del più recente e molto apprezzato La spia - A Most Wanted Man. In compenso Il traditore tipo di Susanna White è un ottimo esempio della capacità di leggere la realtà evidenziandone le pieghe più nascoste o le debolezze più diffuse dello scrittore britannico John le Carré.
Scritto a 45 anni dall'Edgar Award di La spia che venne dal freddo, nel 2010 (quando lo sceneggiatore, anche di Biancaneve e il cacciatore e 47 Ronin, Hossein Amini creava lo script di Drive), il racconto dell'odissea dei due fidanzati inglesi coinvolti in un intreccio di interessi finanziari e indagini internazionali, tra mafia russa e servizi segreti britannici, ha in sé le stimmate della spy story più classica, ma anche - e soprattutto - si muove su coordinate talmente attuali da coinvolgerci in trame che è difficile non considerare molto più che fantastiche.
Un merito sicuramente - e una abilità che riconoscevamo all'autore - per una storia che dopo un inizio hitchcockiano si trascina in maniera anche convenzionale verso esiti tutto sommato prevedibili. Ma mai noiosi. Merito sicuramente degli interpreti: i protagonisti Ewan McGregor e Naomie Harris, ma soprattutto il fin troppo caratterizzato Stellan Skarsgård e un Damian Lewis alla Homeland. Merita una citazione, ma poco più, anche la White, dimostratasi capace dopo molta tv, il corto Bycicle Thieves (Ladri di biciclette) del 1997 e il precedente Tata Matilda e il grande botto (2010) di maneggiare una materia tanto diversa e rischiosa.
Nel passaggio da Antigua (come da testo originario) all'Egitto forse cede qualcosa di un supposto esotismo, ma - complici anche le cronache recenti - accresce il senso di attualità del contesto. E sentirsi vittime inconsapevoli, coinvolti in un gioco troppo grande, è immediato. Peccato che con l'incedere dell'azione i personaggi inizino ad acquistare un piglio che, per quanto strumentale allo sviluppo, fa dubitare della loro credibilità, e che a forza di rivelazioni il tentativo di conquistare la nostra empatia finisca con il perdere verve. Colpa di spiegoni innecessari e di una retorica che purtroppo sommerge il più interessante trattamento dell'uso dei civili da parte delle istituzioni.
I difetti della nostra civiltà e i disastri provocati dalla modernità sono sotto gli occhi di tutti, ma non si può certo imputare a un film di volerli mettere in scena. Apprezziamo quindi la rappresentazione di questi mostri della porta accanto, di cancri difficili da riconoscere, o da accettare, a meno di non diventarne complici. Ma che non si tenti di forzare la sospensione dell'incredulità con un uso fuori luogo di etica e solidarietà, potrebbe riverlarsi un'arma a doppio taglio.
Scritto a 45 anni dall'Edgar Award di La spia che venne dal freddo, nel 2010 (quando lo sceneggiatore, anche di Biancaneve e il cacciatore e 47 Ronin, Hossein Amini creava lo script di Drive), il racconto dell'odissea dei due fidanzati inglesi coinvolti in un intreccio di interessi finanziari e indagini internazionali, tra mafia russa e servizi segreti britannici, ha in sé le stimmate della spy story più classica, ma anche - e soprattutto - si muove su coordinate talmente attuali da coinvolgerci in trame che è difficile non considerare molto più che fantastiche.
Un merito sicuramente - e una abilità che riconoscevamo all'autore - per una storia che dopo un inizio hitchcockiano si trascina in maniera anche convenzionale verso esiti tutto sommato prevedibili. Ma mai noiosi. Merito sicuramente degli interpreti: i protagonisti Ewan McGregor e Naomie Harris, ma soprattutto il fin troppo caratterizzato Stellan Skarsgård e un Damian Lewis alla Homeland. Merita una citazione, ma poco più, anche la White, dimostratasi capace dopo molta tv, il corto Bycicle Thieves (Ladri di biciclette) del 1997 e il precedente Tata Matilda e il grande botto (2010) di maneggiare una materia tanto diversa e rischiosa.
Nel passaggio da Antigua (come da testo originario) all'Egitto forse cede qualcosa di un supposto esotismo, ma - complici anche le cronache recenti - accresce il senso di attualità del contesto. E sentirsi vittime inconsapevoli, coinvolti in un gioco troppo grande, è immediato. Peccato che con l'incedere dell'azione i personaggi inizino ad acquistare un piglio che, per quanto strumentale allo sviluppo, fa dubitare della loro credibilità, e che a forza di rivelazioni il tentativo di conquistare la nostra empatia finisca con il perdere verve. Colpa di spiegoni innecessari e di una retorica che purtroppo sommerge il più interessante trattamento dell'uso dei civili da parte delle istituzioni.
I difetti della nostra civiltà e i disastri provocati dalla modernità sono sotto gli occhi di tutti, ma non si può certo imputare a un film di volerli mettere in scena. Apprezziamo quindi la rappresentazione di questi mostri della porta accanto, di cancri difficili da riconoscere, o da accettare, a meno di non diventarne complici. Ma che non si tenti di forzare la sospensione dell'incredulità con un uso fuori luogo di etica e solidarietà, potrebbe riverlarsi un'arma a doppio taglio.
di Mattia Pasquini