

Beautiful Creatures

Lo studente Ethan Wate si imbatte in Lena Duchannes, affascinante sedicenne la cui famiglia si è appena trasferita nella piccola cittadina del South Carolina in cui Ethan vive. Insieme a Lena, il ragazzo si troverà a dover affrontare la maledizione che tormenta la famiglia di lei da generazioni, mentre la sua giovane amica scoprirà di avere poteri magici che le cambieranno la vita.

Nella corsa degli Studios alla vena d'oro dei romanzi simil-Twilight, Beautiful Creatures – La sedicesima luna rappresenta un'eccezione abbastanza gradita. Anziché giocare al ribasso
amplificando le più basilari pulsioni e i vezzi adolescenzial-puritani
della serie di Stephenie Meyer, Richard LaGravenese ha tratto dal romanzo di Kami Garcia e Margaret Stohl un film che si lascia guardare e ha il pregio di non tratteggiare personaggi ruffiani e stereotipati.
Proprio grazie a questa caratteristica, Beautiful Creatures parte bene: i due protagonisti, Ethan e Lena, sono adolescenti credibili con tratti caratteriali che ispirano simpatia e immedesimazione. Gli attori scelti per interpretarli, Alden Ehrenreich e Alice Englert,
sono assolutamente “normali”. Non brutti, ma nemmeno bellissimi,
richiamano la migliore tradizione del cinema per ragazzi anni Ottanta,
epoca nella quale ancora Hollywood non andava a caccia di giovani nelle
agenzie per modelli e tentava invece di aderire a canoni di bellezza più
comuni. Oltretutto, Ehrenreich infonde al suo Ethan un'attitudine
guascona che conquista subito, mentre la Englert evita con cura, anche
grazie alla sceneggiatura, di scadere nella solita teenager dark e
solitaria a cui ci ha abituato questo tipo di cinema. Il resto del cast
funziona benissimo, su tutti un sempre ottimo Jeremy Irons, che fa la parte del classico zio inquietante e non cerca mai di rendersi più simpatico di quanto gli sia richiesto. L'ambientazione nel sud degli Stati Uniti, in South Carolina, regala al tutto un'atmosfera calda e riesce a evocare, senza insistere troppo, tutta la storia che quei
luoghi hanno alle spalle, tra flashback della Guerra Civile e le ville
coloniali che richiamano le piantagioni di cotone e la schiavitù.
Purtroppo a un certo punto il film perde un po' la retta via, incerto
fra la descrizione realistica di un amore teen, gli elementi di magia e
una sottotrama cospiratoria degna di un film di vampiri. La colpa
principale, ma questo è probabilmente da imputare al romanzo, è quella
di non definire mai esattamente di cosa sia capace un Caster, ovvero un
mago. In pratica sanno fare tutto, qualsiasi tipo di incantesimo per
fare qualunque cosa. Un po' debole come mitologia, specialmente dopo che la saga Harry Potter ha così tanto approfondito il tema. Il terzo atto rientra nella norma
di “filmetto per adolescenti”, quando LaGravenese spinge il pedale
dell'acceleratore per chiudere velocemente il tutto. Le suggestioni
vanno a farsi benedire, sostituite dalla più classica faida famigliare.
Per fortuna che il finale aperto – naturalmente ci saranno i sequel – è
ben fatto e torna nei binari impostati all'inizio, salvando il tutto in
corner.
di Marco Triolo