Biennale Venezia 2014
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Andrei Konchalovsky: “Il digitale nuovo linguaggio del cinema”

Incontro con il regista di The Postman's White Nights, in concorso a Venezia 71

The Postman's White Nights

05.09.2014 - Autore: Marco Triolo
Un pubblico entusiasta ha accolto l'anteprima di The Postman's White Nights, opera di Andrei Konchalovsky in concorso a Venezia 71. Regista poliedrico con all'attivo ogni genere di film, dall'action di Tango & Cash al fantasy per famiglie Lo schiaccianoci 3D, Konchalovsky stavolta ha rinunciato ai grandi mezzi per raccontare una storia di finzione sul confine con la realtà. The Postman's White Nights è infatti ambientato in un paesino russo ai bordi di un lago che lo isola dalla “civiltà”. A interpretarlo, il regista ha chiamato i veri abitanti del luogo, a partire dallo straordinario protagonista Aleksey Tryapitsyn.



Girare un film in digitale, “senza luci, trucco e costumi”, come ci rivela Konchalovsky durante il nostro incontro, “è un'esperienza completamente diversa. La tendenza degli ultimi cinquant'anni è stata quella di realizzare film sempre più costosi e ciò ha creato un circolo vizioso in cui gli autori hanno sempre più soldi e sempre meno libertà. I giovani registi dovrebbero invece imparare a girare film con pochi soldi e grande arte. La nuova rivoluzione tecnologica ci dà l'opportunità di trovare un nuovo linguaggio. Il cinema non ha ancora scoperto del tutto se stesso”. Il digitale ha anche permesso di integrare la sceneggiatura con scene improvvisate dagli “attori” sul posto. Konchalovsky paragona l'esperienza a un mosaico: “Grazie al digitale puoi girare per quaranta minuti, un'ora o due settimane senza fermarti. Il regista diventa una specie di pescatore, che aspetta che qualcosa di interessante passi davanti all'occhio della macchina da presa e lo cattura”.



La linea di demarcazione tra finzione e documentario si fa così sempre più sottile: “Quando vedi un documentario capisci subito che è reale. Un film che tenta invece di ricostruire la realtà può risultare terribile o stupendo, ma non è mai vero”. E prosegue: “La cosa più difficile, quando lavori con attori professionisti, è far sì che non recitino. I grandi attori, come Jean Gabin o Humphrey Bogart, sono grandi perché noiosi, simili a persone reali. Ma se a loro affianchi una persona comune, la differenza si vede. Io non cercavo attori, ma personaggi. L'attore recita, il personaggio vive: questo è il punto”.

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