Sono pochi i registi che possono permettersi - e in grado di gestire - Joaquin Phoenix, Josh Brolin, Owen Wilson, Reese Witherspoon, Benicio del Toro, Jena Malone (tanto per citare i piu' noti al grande pubblico) in uno stesso film. Uno sicuramente e' Paul Thomas Anderson, che finalmente ci mostra il suo atteso Inherent Vice, adattamento piuttosto libero - soprattutto nel finale, per ammissione dello stesso regista - del romanzo omonimo di Thomas Pynchon.
Dopo l'esordio di Hard Eight/Sydney del 1996, Boogie Nights, Magnolia, Ubriaco d'amore, Il petroliere e The Master hanno meritatamente costruito piu' di una carriera, hanno creato un autore di culto capace di cambiare e crescere nel corso degli anni. Difficile scegliere tra le sue opere, in maniera davvero oggettiva, almeno fino ad oggi. Il compito appare infatti piu' semplice con il suo settimo film, anche se i distinguo e gli spunti non possono mancare, visto il soggetto.
Un libro divertente e intrigante, soprattutto nei suoi personaggi, ma non compiutamente coerente ed equilibrato - nelle mani di Anderson - non poteva che dare un risultato altrettanto stravolgente. Soprattutto considerando la lunga gestazione partita con l'adattamento del testo originario "frase per frase" nel 2011. Gli anni successivi fortunatamente hanno saputo mediare il desiderio del regista di rendere un omaggio tanto filologico a un proprio autore-feticcio, limitando la tendenza all'accumulo e confermando la difficolta' di sintesi, ma mantenendo un'impressione finale che non si discosta da quanto accennavamo.
Piu' vicina al Grande Lebowski che a Marlowe, l'Odissea dell'occhio privato 'Doc' Sportello in un noir californiano anni '70, hippie e psichedelico, puo' confondere. Persino annoiare, forse, chi non arrivi predisposto al ritmo narrativo del regista di Studio City o disposto a seguirlo (e capace di farlo) nella forma scelta questa volta. Gia', perche' ancora una volta al pubblico e' richiesta partecipazione; forse mai come stavolta, vista la dimensione surreale nella quale ci si dibatte a lungo.
E in questo senso, l'amore libero e' piu' nei listini del 'Pussy menu' che nel contesto in cui si muove passando da un personaggio all'altro. In una sorta di gioco dell'Oca nel quale - come da tradizione - non si fa che avanzare e indietreggiare in maniera anche inessenziale. Questo considerando uno svolgimento lineare e un obiettivo da raggiungere. Quello 'reale' del testo di Pynchon resta piuttosto oscuro da decifrare, ma anche questo non e' importante, che mai come in questo caso l'importante e' il Viaggio. Quello della storia e del suo eroe, e quello 'stupefacente' nel quale - con lui e attraverso di lui - veniamo trascinati.
Tra visioni dichiarate e suggerite siamo infatti in balia di un totale disfacimento della realta', almeno di quella percepita da Doc e restituitaci da lui e dalla voce narrante della sua 'Musa'. E il naufragare in questo mare puo' esser dolce - al punto da inserire a buon titolo anche questo Inherent Vice nel gotha del buon Paul Thomas - o un po' amaro, a volerlo affrontare con piu' rigidita' per riportarlo in canoni noti e rassicuranti.
Troppo comodo? Forse si. Forse questa chiave di lettura permettera' di apprezzare maggiormente lo straniamento totale di un ancora una volta ottimo Phoenix. Ma al di la' del possibile eccesso di indulgenza, Inherent Vice resta un film ricco (forse troppo) di arte lirica, pittorica e attoriale che - tra mille dubbi e qualche sorriso - lascia negli occhi scene di prima qualita' e dei personaggi che viene voglia di ritrovare al piu' presto (su tutti quelli di Brolin, Del Toro e Wilson).
Inherent Vice, in uscita il 19 febbraio 2015, e' distribuito dalla Warner Bros.
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Visto in anteprima - Inherent Vice - La recensione
Un viaggio dove ciascuno sceglie la propria meta quello di Paul Thomas Anderson e Joaquin Phoenix
05.10.2014 - Autore: Mattia Pasquini