Id., Usa, 2005
Di Duncan Tucker;
con Felicity Huffman, Kevin Zegers, Fionnula Flanagan, Graham Greene, Burt Young
Manca soltanto una settimana e Bree (Felicity Huffman)
potrà finalmente diventare una donna a tutti gli effetti: l’intervento
chirurgico che aspetta da una vita le consentirà finalmente di liberare
la sua vera anima. Quando tutto sembra ormai procedere per il meglio,
Bree scopre di avere un figlio che al momento si trova in carcere a New
York per un piccolo furto. L’incontro con il giovane e sbandato Toby (Kevin Zegers)
sarà tutt’altro che semplice: trovarsi di fronte alla responsabilità di
essere genitore, e per di più di un ragazzo con seri problemi
psicologici, sarà per Bree un esperienza assolutamente traumatizzante.
Diversi e sconosciuti tra loro, i due devono accettare una convivenza
che per entrambi sembra imposta, o meglio forzata. Il viaggio che
faranno con ogni attraverso l’America per tornare a Los Inglese in
tempo per l’operazione servirà però ad entrambi per conoscersi e
soprattutto accettare le reciproche debolezze.
Da cosa si capisce che il cinema americano è il migliore al mondo? A
mio avviso, dal fatto che in qualsiasi sua forma, sia essa quella della
sfarzosa produzione hollywoodiana, o come in questo caso dell’opera
indipendente ed a basso budget, questa è sempre rivolta a rispettare le
esigenze dello spettatore. Ciò si attua con lo spettacolo volto
all’intrattenimento, non c’è dubbio, ma anche con l’attenzione alla
storia e allo sviluppo dei personaggi. Prendiamo questo toccante “Transamerica”:
l’idea del road-movie esistenziale tra due protagonisti incompatibili
non è certo delle più originali, ma viene realizzata con una
correttezza di messa in scena e con delle idee di script che lo rendono
un film nettamente superiore alla media. Il regista/sceneggiatore Duncan Tucker
non concede nulla alla semplice commedia ad equivoci, e costruisce
un’opera molto più dolorosa e complicata di quanto non sembri in
superficie: i traumi, le debolezze e la tristezza insita nei personaggi
viene esplicitata proprio attraverso una comicità mai gratuita e sempre
venata di acidità. In più, “Transamerica” ha dalla sua una delle più
felici scelte di cast degli ultimi anni: Felicity Huffman
è infatti assolutamente straordinaria, e regala alla sua Bree
un’umanità di rara intensità emotiva; il Golden Globe appena vinto e
l’inevitabile nomination all’Oscar sono la necessaria ed indiscutibile
conseguenza della sua bravura d’attrice.
“Transamerica”
si pone dunque come una sorta di coerente e matura ri-elaborazione
degli stilemi del cinema indipendente americano, sfruttandone tutte le
caratteristiche estetiche ma aggiungendo una profondità di sguardo
molto più feroce del solito. Duncan Tucker
ha realizzato un film per nulla semplice o conciliatorio, che mai mette
a suo agio lo spettatore e gli concede di rilassarsi con una comicità
di facile accesso. Al contrario, dietro la commedia si cela il dramma
umano e la solitudine dei personaggi, che altro non possono fare se non
sorridere delle proprie difficoltà. Un film più sottile ed intelligente
di quanto non sembri.


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Transamerica
Manca soltanto una settimana e Bree (Felicity Huffman) potrà finalmente diventare una donna a tutti gli effetti: l'intervento chirurgico che aspetta da una vita le consentirà finalmente di liberare la sua vera anima...

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani