
Campo e controcampo. Si va avanti così, nulla più che questo, al massimo un paio di flashback inseriti narrativamente neanche troppo bene, una corsa al pub e qualche primo piano sul volto straziato di una Rachel Weisz sempre piangente. Se negli anni ’50 l’amore arrivato all’improvviso per cui si era pronti ad abbandonare il marito e a vivere un’esistenza da “spettegolata” in una società piena di convenzioni ed etichette era un tema interesante soprattutto se contestualizzato negli emergenti movimenti femministi di allora, l’attualità di “The Deep Blue Sea” oggi è pari più o meno a zero. Ma non è un problema, almeno non quello principale. Il fatto è che non solo la messa in scena è scarna e noiosa, tanto che il film lo si potrebbe ascoltare invece che vedere, ma ancora di più non si simpatizza per nulla con la protagonista, né si capisce da dove nasca questo legame così profondo con un pilota dell’aeronautica inglese mezzo alcolizzato che non fa altro che trattarla male. E così, per quanto ci piacerebbe dire che Rachel Weisz è bravissima, che merita una nomination agli Oscar e ad ogni premio, la verità è che anche lei finisce con l’essere la pedina di uno di quei giochi da tavola che ti hanno regalato per Natale e che dopo 5 minuti ti accorgi che non fa per te e metti per anni in un armadio a raccogliere la polvere.

Il film non ha ancora una distribuzione italiana, è stato presentato al festival di Toronto e di San Sebastian e adesso nella sezione Occhio Sul Mondo - Focus del Festival del Film di Roma. Chissà se alla fine un buon traino per lui possa essere il momento d’oro del suo portagonista maschile, Tom Hiddleston, già Loki in “Thor” e nel prossimo “The Avengers”, nonchè Francis Scott Fitzgerald in “Midnight in Paris” e capitano di fanteria nello spielberghiano “War Horse”. A volte basta un nome a fare la fortuna di una pellicola.