
È davvero difficile mettere insieme i pensieri a poche ore dalla prima visione di un film complesso e sfaccettato come questo. Babadook è un'opera interessante anche togliendo tutta la parte horror. Che non manca, sia chiaro: Amelia (Essie Davis) trova nella stanza del figlio Samuel (Noah Wiseman) un inquietante libro pop-up contenente una “fiaba della buonanotte” alquanto insolita. La lettura del libro apre le porte a un'entità malefica, il Babadook del titolo, che porta l'inferno nelle vite di Amelia e Samuel.
La bellezza del film sta in questa lenta discesa nella follia: se non sapessimo che si tratta di un horror, potremmo anche pensare che tutto quello che vediamo si svolga nella testa di Amelia e nasca dalla deprivazione di sonno dovuta ai capricci del figlio. La vediamo sempre più narcolettica, con le occhiaie e in disordine. Gli assistenti sociali le bussano alla porta, la polizia non le crede. La Kent insinua il sospetto che forse non dovremmo crederle nemmeno noi, salvo poi cancellare l'ambiguità nel confronto finale.

Babadook è un film che si prende il suo tempo per costruire tensione e terrore. È anche un film che tenta di dire qualcosa di nuovo e diverso rispetto agli ormai abusati cliché del genere. Ma soprattutto è uno scavo psicologico potentissimo, anzi è quasi più interessante in questo che nelle scene d'orrore tout court. Il finale è qualcosa di rarissimo, una riconciliazione che rimane ambigua e dunque credibile. Non un finale da film ma da vita "reale". E in grado di svelare da solo la natura metaforica di Babadook: dopotutto, i mostri peggiori sono i nostri traumi e i traumi non si superano mai veramente.
Babadook è distribuito in Italia da Koch Media. Qui il trailer.