
Sin dai primi fotogrammi del film appare evidente che il GRA è trattato come una metafora, una scusa bella e buona per raccontare storie “ai margini”, non solo di Roma, ma dell'Italia e forse del mondo. C'è il nobile decaduto che affitta la villa per i fotoromanzi, il professore in pensione con la figlia studentessa, il paramedico che attraversa ogni notte il Raccordo a bordo della sua ambulanza e l'esperto di larve delle piante che si occupa di disinfestare le palme. Queste sono solo alcune delle storie raccontate in Sacro GRA, storie a volte bizzarre, a volte di vita vissuta, che vengono trattate con una certa tenerezza e una dose di romanticismo.
Insomma, è chiaro che Sacro GRA ambisce ad essere qualcosa di più di un documentario: lo stesso Rosi ha definito i suoi protagonisti “attori che non sanno di recitare” e, per una volta, viene immediatamente palesato che quando si osserva qualcosa, la si modifica per forza. Il principio di Heisenberg è alla base di ogni documentario, perché chi li realizza parte sempre da una struttura a tre atti tipica del cinema e della narrazione tutta, perciò inevitabilmente manipola le informazioni, anche se in maniera minima. La differenza tra Sacro GRA e un comune documentario sta nel fatto che, se normalmente i registi negano che ci sia stata questa manipolazione, Rosi ammette tutto subito e ricerca il dettaglio curioso, il montaggio ad effetto.

Il bello è che la scelta paga: nonostante non ci si trovi propriamente di fronte a un ritratto della normalità, se la tesi era quella di mostrare le contraddizioni della Capitale, il suo accostamento di moderno e antico e anche una certa decadenza strutturale dall'indubbio fascino, Rosi centra in pieno l'obbiettivo. Forse Sacro GRA non era da Leone d'Oro, ma di certo è uno dei film italiani dell'anno.
Sacro GRA, in uscita il 19 settembre, è distribuito in Italia da Officine UBU. Qui il resoconto dalla conferenza stampa a Venezia.