
La sfida per Roy Andersson non era di certo delle più semplici. Un grande ritratto umano ha l’aspirazione dell’universalità e lo spauracchio della banalizzazione. Eppure, l’iperrealismo della scena, la fissità della macchina da presa in uno spazio rarefatto, mai epico, mai presuntuoso, regalano al film l’omogeneità del grande capolavoro.
Solo la maestria di un registro stilistico nuovo riesce a raccontare con leggerezza, in assenza di una vera e propria trama, argomenti come la sacralità infranta della morte, l’analfabetismo comunicativo e l’apatia di un’umanità votata alla disperazione. Accanto all’esistenzialismo, trova poi spazio la più solida narrazione della contemporaneità di alcuni episodi storici. La molestia perpetrata da un soggetto femminile e l’orrore di uno sterminio insensato sono entrambe dimostrazioni della sincerità di un lavoro che non risparmia nulla ai propri personaggi in celluloide e tantomeno al pubblico che osserva una versione poetica della propria esistenza di carne.

Un piccione seduto su un ramo riflette sulla propria esistenza è distribuito in Italia da Lucky Red.