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Non ci resta che il crimine, la recensione della commedia di Massimiliano Bruno

Non ci resta che piangere versione 2018. Ritorno agli anni Ottanta, ai mondiali di calcio e alla criminalità organizzata

Marco Giallini

09.01.2019 - Autore: Gian Luca Pisacane
Si può scherzare sulla Banda della Magliana? Sui rapimenti, le rapine, gli omicidi, il traffico di droga, il gioco d’azzardo e i legami con la politica? Il regista Massimiliano Bruno ne sembra convinto. Così “Renatino” (il boss Enrico De Pedis) si trasforma in un capo in fondo non così spietato, che cede anche a qualche gesto di “tenerezza”. E i suoi compari sono svelti con la pistola, ma un po’ meno col cervello.

Sono un gruppo da temere, che però esercita un certo fascino sugli scapestrati amici venuti dal 2018: uno ha letto tutti i libri che li riguardano, un altro impara a mostrare i muscoli dopo averli affiancati in una delle tante scorribande criminali. I “banditi” vengono dipinti come dei cattivoni di strada, ragazzacci, minorati da tutelare, talvolta assassini.



Non ci resta che il crimine. Già dal titolo il riferimento è chiaro, si guarda a Non ci resta che piangere di Benigni e Troisi. L’impostazione è la stessa: casualmente i protagonisti si trovano nel passato. Nel film del 1984 si tornava al 1492, attraverso una tempesta. Obiettivo: fermare Colombo prima che scoprisse l’America. Qui i tre passano attraverso un varco spazio-temporale e vengono proiettati nel 1982. Così i soliti mondiali di calcio fanno da cornice alla commedia, perché col pallone, si sa, in Italia tutto finisce in brodo.

Gli ammicchi e le furberie non si contano. A conferma che il nostro cinema “leggero” oggi non smette di riciclarsi al peggio. Dal cinepanettone (Amici come prima) al Natale a 5 stelle, passando per Cosa fai a Capodanno?, il Se son rose di Pieraccioni e il ritorno di D’Artagnan e famiglia (Moschettieri del re – La penultima missione). Non ci resta che il crimine strizza l’occhio ai vecchi poliziotteschi, alla serie di Smetto quando voglio, alle peripezie di Benigni/Troisi. Con le battute che richiamano Ritorno al futuro e Scarface, e i selfie con la locandina di Rambo. E quando “Renatino”, travestito da membro dei Kiss, salva la vita al pauroso Giuseppe (per la cronaca anche cardiopatico) con un volo al rallentatore, davvero non ci resta che piangere.

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Senza essere bacchettoni, c’è un limite anche alla comicità grossolana e alle esigenze di mercato (esce in sala in concomitanza con Attenti al gorilla di Luca Miniero…). Ma questa volta Massimiliano Bruno si spinge oltre ogni limite. Prova a rendere “popolare” una pagina buia della cronaca italiana, e ci sguazza senza pudore e ritegno. Gli viene meno la leggerezza di Beata ignoranza (generazioni a confronto e rapporto con le nuove tecnologie), il tentato “dramma sociale” di Gli ultimi saranno gli ultimi (la provincia, la crisi e l’amore). E nel finale: preparatevi al peggio.

Non ci resta che il crimine uscirà nelle sale il 10 gennaio, distribuito da 01 Distribution