Lo sguardo è a Dreyer, Ozu, Bresson: tre giganti che hanno segnato la formazione del regista Paul Schrader, fin da quando aveva ventiquattro anni. Partendo dall'analisi delle loro opere, aveva scritto il saggio Trascendental Style in Film (in Italia: Il trascendente nel cinema), che oggi ha aggiornato a distanza di decenni in Rethinking Trascendental Style in Film. Parola d'ordine: ridimensionare, restando fedele ai tre principi da cui era partito per interrogarsi su "lo stile trascendente nel cinema": quotidianità, scissione e stasi.
Proviamo ad analizzare il suo First Reformed (presentato alla 73a Mostra del Cinema di Venezia e colpevolmente non distribuito in sala) attraverso queste tre fasi. Quotidianità: una chiesa vuota, una vocazione in crisi. Il reverendo Toller è schiacciato dal silenzio di Dio. Vive in un universo statico, dove tutto è sempre uguale. Scissione: la crisi della "quotidianità", del normale incedere delle giornate. Si incrina il rapporto che esiste tra il protagonista e l'ambiente che lo circonda. Toller conosce una giovane attivista. La stasi: Schrader la descrive come una sintesi delle due fasi precedenti. La situazione diventa insostenibile, e dopo la tempesta si arriva a "una scena inerte, immobile, che segue l'evento decisivo e chiude il film". Nessuno spoiler, non vi preoccupate.
In First Reformed in qualche modo Schrader realizza il suo personale Diario di un curato di campagna, cerca di replicare alcuni passaggi di Diario di un ladro. Ma al tempo stesso si distacca da quell'essenzialità, dal rigore di ogni inquadratura. Gonfia la forma, la porta a esplodere: i corpi levitano prima di unirsi, volano tra le stelle.
È come se il regista suggerisse che ogni immagine è figlia di qualcosa che è già stato mostrato. Quindi l'unico modo per riproporla è portarla all'eccesso, come aveva fatto in Cane mangia cane con le regole del noir. I tempi della New Hollywood, di American Gigolo e delle sceneggiature per Scorsese sono lontani.
Qui Schrader mette in scena la sua anima calvinista, di quando era un ragazzo che viveva in Michigan. La visione giansenista di Bresson si riflette nell'ecologia di Schrader, in una spiritualità che si riassume nella lotta per preservare la purezza dell'acqua, i colori degli alberi, la bellezza del creato.
Amare il cinema è ormai un atto di fede. È un mezzo in continuo mutamento, di cui molti hanno già preannunciato la morte. Quindi Schrader utilizza la sofferenza di un uomo di chiesa per mettere in discussione l'intero sistema. La rinascita parte dal dolore, dal filo spinato con cui Toller si avvolge. Si carica il mondo intero sulle spalle, con tutti i suoi peccati. E in qualche modo cerca di salvarlo, di ricominciare. Come la settima arte, continuamente minacciata ma ben lontana dall'essere sepolta.
Rethinking lo chiama Schrader. Mettere da parte le certezze, imparare dal passato, e "ripensare". Come ha fatto con il suo saggio del 1972 (di cui parlavamo all'inizio), che a settant'anni sceglie di rendere ancora più moderno, per non smettere di augurare lunga vita al grande schermo.
First Reformed è disponibile su Chili.
Proviamo ad analizzare il suo First Reformed (presentato alla 73a Mostra del Cinema di Venezia e colpevolmente non distribuito in sala) attraverso queste tre fasi. Quotidianità: una chiesa vuota, una vocazione in crisi. Il reverendo Toller è schiacciato dal silenzio di Dio. Vive in un universo statico, dove tutto è sempre uguale. Scissione: la crisi della "quotidianità", del normale incedere delle giornate. Si incrina il rapporto che esiste tra il protagonista e l'ambiente che lo circonda. Toller conosce una giovane attivista. La stasi: Schrader la descrive come una sintesi delle due fasi precedenti. La situazione diventa insostenibile, e dopo la tempesta si arriva a "una scena inerte, immobile, che segue l'evento decisivo e chiude il film". Nessuno spoiler, non vi preoccupate.
In First Reformed in qualche modo Schrader realizza il suo personale Diario di un curato di campagna, cerca di replicare alcuni passaggi di Diario di un ladro. Ma al tempo stesso si distacca da quell'essenzialità, dal rigore di ogni inquadratura. Gonfia la forma, la porta a esplodere: i corpi levitano prima di unirsi, volano tra le stelle.
È come se il regista suggerisse che ogni immagine è figlia di qualcosa che è già stato mostrato. Quindi l'unico modo per riproporla è portarla all'eccesso, come aveva fatto in Cane mangia cane con le regole del noir. I tempi della New Hollywood, di American Gigolo e delle sceneggiature per Scorsese sono lontani.
Qui Schrader mette in scena la sua anima calvinista, di quando era un ragazzo che viveva in Michigan. La visione giansenista di Bresson si riflette nell'ecologia di Schrader, in una spiritualità che si riassume nella lotta per preservare la purezza dell'acqua, i colori degli alberi, la bellezza del creato.
Amare il cinema è ormai un atto di fede. È un mezzo in continuo mutamento, di cui molti hanno già preannunciato la morte. Quindi Schrader utilizza la sofferenza di un uomo di chiesa per mettere in discussione l'intero sistema. La rinascita parte dal dolore, dal filo spinato con cui Toller si avvolge. Si carica il mondo intero sulle spalle, con tutti i suoi peccati. E in qualche modo cerca di salvarlo, di ricominciare. Come la settima arte, continuamente minacciata ma ben lontana dall'essere sepolta.
Rethinking lo chiama Schrader. Mettere da parte le certezze, imparare dal passato, e "ripensare". Come ha fatto con il suo saggio del 1972 (di cui parlavamo all'inizio), che a settant'anni sceglie di rendere ancora più moderno, per non smettere di augurare lunga vita al grande schermo.
First Reformed è disponibile su Chili.