
Montaldo parte bene. Il modo in cui si focalizza sui problemi amministrativi e finanziari della fabbrica, sulla testardaggine del suo protagonista che vuole continuare a “credere” in una ripresa nonostante le reazioni contrarie tanto delle banche che della sua famiglia sono covincenti. Ben presto l’aspetto “lavorativo” lascia spazio a quello privato e molte delle buone aspettative create si sgretolano velocemente a favore della classica storia di corna borghesi. Come la crisi nel lavoro si ripecuote sul matrimonio è senza dubbio un’osservazione valida ed interessante, ma Montaldo e il suo co-sceneggiatore Andrea Purgatori sacrificano troppo a favore di questa, non solo a livello di tempi narrativi, ma anche in termini di regia. E’ un vero peccato perché Montaldo dimostra di sapere il fatto suo, carica di drammaticità e tensione latente molti passaggi (merito sia della fotografia desaturata che di un bravissimo Pierfrancesco Favino) e trova una soluzione narrativa poco prima del finale che risulta credibile e catartica (senza svelarvela nel dettaglio, vi basti sapere che si basa sul fondamento che alla fine la “creatività” italiana è vincente anche davanti la razionalità tedesca).

L’industriale” risulta così un film a metà: le sue riflessioni arrivano a destinazione, ma è comunque vittima di tanti, medi, ma ben distribuiti errori e difetti (di regia, di sceneggiatura, di interpretazioni) che la sensazione di un’occasione mancata è la sensazione preponderante quando si esce dalla sala.
La pellicola, presentata Fuori Concorso al sesto Festival Internazionale del Film di Roma e in uscita dal 13 gennaio, è distribuita dall 01 Distribution.
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