The Three Burials of Melquiades Estrada, Usa, 2005.
Di e con Tommy Lee Jones e con Barry Pepper, January Jones, Dwight Yoakam
Ci sono delle pellicole che un artista probabilmente aspetta per tutta
una carriera, e quando arrivano riescono finalmente a metterlo in
condizione di esprimere tutte le sue potenzialità: questo sembra il
caso dello splendido “Le tre sepolture” e soprattutto del suo realizzatore, Tommy Lee Jones.
Caratterista dal volto pietroso e scavato, l’attore ha diretto una
ballata che in più di un momento arriva dritta al cuore dello
spettatore, trasformandosi in un’elegia capace di tratteggiare con cura
uno stato sospeso, una terra posta la limite. Già, perché “Le tre sepolture”
oltre che essere un grande western contemporaneo, è prima di tutto “un
film di confine”; il confine mentale e sentimentale in cui si muovono
tutti i suoi personaggi, sepolti nella propria desolata esistenza ed
insieme disperatamente aggrappati a qualcosa: ad un amico scomparso, ad
un luogo immaginario, al dovere, al proprio compagno, non importa. E’
l’illusione e soprattutto la sua perdita il senso ultimo della
pellicola.
Per riuscire ad arrivare ad un simile risultato artistico Jones ha
avuto bisogno di un testo che possedesse la pregnanza necessaria,
quindi molto del merito va attribuito anche a Guillermo Arriaga, che dopo gli script per i film di Alejandro Gonzàlez Inàrritu – la coppia si è riformata anche per il prossimo “Babel”, interpretato da Brad Pitt, Cate Blanchett e Gael Garcìa Bernal
- dimostra di saper ormai poter disporre a suo piacimento degli stilemi
del melodramma. Questa volta lo sceneggiatore ha optato per una storia
che contenesse in sé non soltanto il dolore di figure ferite
nell’intimo, ma anche un umorismo grottesco e surreale, eco esplicito
di rimandi marqueziani. Ed ecco dunque, quando meno lo si aspetta, che
dal film arriva allo spettatore la liberazione della risata improvvisa,
che impreziosisce ancora di più il timbro dolente e cadenzato del
racconto. Jones, acutissimo regista, sceglie di prendersi tutto il
tempo consono a questo tipo di narrazione, e costruisce un
lungometraggio dal ritmo interno suadente e preciso. La messa in scena
non sale mai sopra le righe, e permette così a tutte le figure di
esplicitarsi al meglio man mano che la storia procede; in questo modo
tutti gli attori in scena, dal magnifico protagonista agli
efficacissimi comprimari, riescono a tratteggiare con cura e commozione
i propri personaggi, gente di confine che vive questa divisione prima
di tutto dentro se stessa.
Doloroso e rarefatto, premiato all’ultimo festival di Cannes con la palma al miglior attore e quella per la sceneggiatura, “Le tre sepolture”
è un grande esempio di cinema che viene dal cuore, opera di un attore
che sembra aver aspettato molto tempo in cerca dell’occasione giusta
per poter fare il proprio cinema. Visto il risultato, non ha aspettato
invano. Applauso a Tommy Lee Jones.


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Le tre sepolture
Oltre che essere un grande western contemporaneo, è prima di tutto 'un film di confine'; il confine mentale e sentimentale in cui si muovono tutti i personaggi, sepolti nella propria desolata esistenza

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani