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Le star di Sin City

Il cast stellare di "Sin City" ci presenta l'ultima favola nera made in hollywood

Sin City Cannes

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
E’ vero che più che un adattamento cinematografico, all’inizio la sua idea era quella di fare una trasposizione precisa del fumetto di Frank Miller?
ROBERT RODRIGUEZ – Quando leggiamo un fumetto ci accorgiamo che è molto più coraggioso della sua versione per il cinema. Io volevo soltanto esaltare questo lavoro di Miller, che è letteralmente cinema su carta! Non è stato per nulla difficile dirigere “Sin City” insieme a lui, perché già dai suoi libri si può trovare la vena di regista di Frank. Praticamente ha trasportato su personaggi reali quello che già sapeva creare sul fumetto.

Come ha fatto Rodriguez a convincerla a co-dirigere il film?
FRANK MILLER – C’è voluto un po’ di tempo, non è stato facile. All’inizio avevo deciso che “Sin City” non sarebbe mai diventato un film. Robert però aveva una visione particolare di come agire tecnicamente, soprattutto nel voler sposare l’animazione e l’inquadratura. Ho imparato molto nel fare Sin City”, e credo che il mio lavoro di fumettista ne risentirà in positivo. 
 
Come siete riusciti ad entrare nell’universo di Frank Miller?
MICKEY ROURKE – Prima di tutto ho frequentato molti bar gay…No, a parte gli scherzi, è stato facile. Tutto era già scritto, ed aver già lavorato con Robert mi ha molto facilitato. Quando la gente con cui lavoro è degna di rispetto, allora tutto va per il meglio. Robert è uno che sa quello che fa; quando non capivo qualcosa potevo sempre contare sul suo aiuto. Anche Frank mi ha molto aiutato: veniva da me, mi dava una botta sul sedere ed io partivo a razzo!

Come fa una giovane attrice ad interpretare un personaggio di un fumetto, un ruolo fuori dal tempo?
JESSICA ALBA – Mi sono infilata quei pantaloncini attillati ed è andata! E’ questa la cosa divertente: questi personaggi sono straordinariamente estremi, sono la versione ultima di tutto quello che puoi aver recitato in precedenza.

Lei spesso ha recitato su sfondo verde, e lo sfondo è stato poi aggiunto digitalmente. Si tratta di un tipo di lavoro paragonabile a quello teatrale?
BENICIO DEL TORO – Si e no. Ricorda il teatro perché senza neppure il set si accentua la finzione…

In questo film c’è molta fantasia…
BRITTANY MURPHY – Si, e devo dire che tutti noi abbiamo aggiunto tutta le nostre capacità per aumentare questa fantasia. L’ambiente ci ha decisamente aiutato, e ci siamo parecchio divertiti!
F.M. – Mentre scrivevo il personaggio di Brittany, non sapevo come esprimere l’idea che avesse una voce molto sensuale. Poi ho incontrato lei, ed ho capito subito dalla sua voce che era lei a doverlo interpretare…

“Sin City” sembra rimandare agli anni ’40 e ’50, il periodo d’oro del noir americano, quello dominato da Humprey Bogart…
CLIVE OWEN – Certamente. Senza dubbio la trama ideata da Frank per i suoi fumetti è basata sui film di quel periodo. Mi sembra esplicita l’ispirazione ai migliori romanzi di Raymond Chandler o Dashiell Hammett. Soprattutto i dialoghi del film sono una perfetta rivisitazione di quel modo di scrivere i personaggi, ed un attore quando li recita non può non accorgersene ed amarli…

Come ti senti a partecipare in concorso a Cannes?
R.R. – E’ meraviglioso, un’esperienza incredibile, se penso che proprio in Francia è nato il genere noir.

Nella realizzazione invece ci sono state anche influenze espressioniste? Penso ai film tedeschi degli anni ’20 e ’30…
R.R. – E’ vero. Tutti gli sfondi sono stati ricreati su sfondo verde, in digitale, per creare delle zone d’ombra visivamente espressioniste: illuminare lo quello che ci interessava, ed eliminare dall’inquadratura tutto il resto. Abbiamo usato anche molto lo zoom, per essere il più possibile fedeli alla visione del mondo che Miller suggerisce nei suoi fumetti. Tutto l’impianto cromatico poi, sia il bianco e nero che l’uso di colori primari molto intensi, è del tutto fedele all’idea che il fumeto vuole esprimere…
F.M. – Quello che mi colpisce in questa nuova tecnologia digitale è che praticamente si torna al cinema dei tempi di Orson Welles. Prima c’erano dei set enormi, adesso basta un computer per creare luce ed ombra. In fondo è come tornare indietro, poter sperimentare nuove forme di visione come faceva Welles…

Non avendo dei set alle spalle, vi siete concentrati sulla recitazione “pura”?
MICHAEL MADSEN – Io volevo fare il ruolo di Marv! Ho dato la caccia a Robert per sei mesi per lavorare nel film, e quando ho visto Mickey interpretare Marv mi sono arreso. Ma siccome volevo assolutamente un ruolo in questo film, e ancora era libero Bob, mi sono arrangiato con quello…Sono il primo ad essere picchiato nel film, ma alla fine posso prendermi la mia vendetta…

Avete invitato sul set anche Quentin Tarantino, un terzo regista. Non avete fatto confusione?
B.D.T. – C’era già confusione, dato che i registi erano ben due. Ma se a volte due è meglio di uno, stavolta tre è stato meglio di due!
C.O. – E’ stata la magnifica atmosfera creata da Rodriguez sul set a dare il tono al film.
R.R. – Si, è venuto anche Francis Ford Coppola a trovarci sul set ad Austin, in Texas…Ha visto quello che stavamo facendo ed ha esclamato: “Ma questo è il mio sogno!”. Lui ha sempre amato fare questo cinema sperimentale.

Lei è già famoso in Inghilterra. Com’è stata la sua esperienza ad Hollywood?
C.O. – Per me il successo è avere la possibilità di lavorare con chi voglio, con le persone più talentuoso, e questo film ne è l’esempio.

Come vi difendete dall’accusa che il film possa istigare alla violenza?
F.M. – Violenza è adesso un termine che sembra proprio andare di moda. Bisogna ricordare che nella drammaturgia di ogni tempo c’è sempre stata violenza. E’ qualcosa di ridicolo pensare che possa incoraggiare il pubblico a comportarsi violentemente, non credo assolutamente a questa teoria. Quello che io disegno e faccio è estremo, e così sarà sempre il mio lavoro. Tutta la storia della fiction americana ha una lunga cultura di violenza stilizzata…
R.R. – Non abbiamo avuto problemi con la censura perché sia il fumetto che il film sono estremamente stilizzati. Tutto è molto irreale, è un approccio artistico-concettuale. “Sin City” parla di qualcosa di oscuro, e violenza è un termine molto vago, o meglio vasto…il problema è la stilizzazione, cioè inserire un qualcosa in un determinato contesto.

Lei gira film con budget piuttosto ridotti, e sembra sempre che invece siano dei colossal. Come mai i suoi lavori sono sempre realizzati in economia?
R.R. – Per due motivi fondamentali: primo, quando il costo della produzione non è alto le Majors non ti stanno addosso, ed anche con un incasso modesto puoi sempre rifare i soldi del film, magari anche ricavarci dei profitti. Io poi giro molto in fretta, per cui i costi si contengono. Il secondo motivo è che la scarsezza di mezzi ti spinge sempre alla fantasia, alla creatività, e questo per me è fondamentale.