Il cinema italiano sta tentando, da qualche anno a questa parte, di rinnovarsi da un punto di vista espressivo, per entrare maggiormente in contatto con i linguaggi più giovani della produzione mondiale. La profezia dell'armadillo si inserisce in questa ricerca di una maggiore freschezza della scrittura e della messa in scena, scegliendo come punto di partenza un'opera che ben si presta a questo tipo di operazione: il best-seller a fumetti omonimo di Zerocalcare.
Zero (Simone Liberati) è un ventisettenne romano che, per sbarcare il lunario, disegna manifesti per concerti punk, dà ripetizioni e lavora in aeroporto. Ad assisterlo quotidianamente, oltre al migliore amico Secco (Pietro Castellitto), c'è un Armadillo parlante (Valerio Aprea) frutto della sua fantasia. La notizia della morte di una sua vecchia amica francese, di cui era innamorato alle medie, mette in moto una catena di eventi che lo porteranno ad affrontare lo spettro della crescita e dell'assunzione di responsabilità degli adulti.
O almeno è quello che il film vorrebbe raccontare, ma che il regista Emanuele Scaringi e gli sceneggiatori Oscar Glioti, Pietro Martinelli, Valerio Mastandrea e lo stesso Michele “Zerocalcare” Rech non riescono davvero mai a mettere a fuoco. Il problema principale è che gli autori si sono scordati di plasmare le pagine dei fumetti originali per dare alla storia una struttura cinematografica. Troppo ossequioso nei confronti non solo della graphic novel, ma persino delle strisce che abitualmente Zerocalcare pubblica sul suo blog – di cui riprende alcuni sketch tra i più famosi – La profezia dell'armadillo procede per siparietti senza mai trovare coesione. E, cosa ancor più grave, senza riuscire mai a sviluppare i temi, anche importanti, che il plot suggerisce.
Tutto resta in superficie, dall'elaborazione del lutto – a cui vengono dedicate giusto un paio di scene – alle difficoltà di un aspirante artista di farcela nella Roma e nell'Italia di oggi. Come nel fumetto, alla fine Zero non maturerà mai come il confronto diretto con la mortalità porterebbe a pensare. Il che non è un problema di per sé: ci sono molti film e romanzi di formazione in cui i protagonisti tornano sui propri passi dopo una lunga riflessione interiore. Ma qui si tratta più che altro di pigrizia narrativa e incapacità a monte di imbastire un discorso sul confronto tra responsabilità e irresponsabilità. Va bene che vinca quest'ultima, qui però manca proprio la battaglia.
Non che non si rida, a tratti. Il merito va principalmente a due protagonisti molto azzeccati. Simone Liberati, visto in Cuori puri, ha la stoffa del leading man. Pietro Castellitto, nei panni del migliore amico di Zero, è una rivelazione. Suoi sono i due momenti più esilaranti del film.
La profezia dell'armadillo, visto il pedigree originale, i temi e i personaggi, potrebbe anche diventare un piccolo cult generazionale. Ma con questo materiale si poteva fare molto di meglio.
In uscita il 13 settembre, La profezia dell'armadillo è distribuito da Fandango.