"Caro Leonardo, il mio nome è Xavier Dolan-Tadros. Vado a scuola, amo studiare. Ho otto anni, il 20 marzo ne farò nove. Sono uno dei tuoi fan. Ho visto Titanic cinque volte, reciti davvero bene. Sei un attore grandioso e ti ammiro". La mia vita con John F. Donovan parte da qui, dalla lettera che un bambino scrive al suo eroe. Nella realtà Xavier Dolan voleva conoscere Di Caprio. Nella finzione, un monello trapiantato in Inghilterra si rivolge al suo interprete preferito: John F. Donovan, protagonista di una serie televisiva per ragazzi e stella di Hollywood.
Questo è l’inizio del film maledetto di Dolan, dell’esordio in lingua inglese dell’enfant prodige/terrible venuto dal Canada. Con un cast da urlo: Kit Harington, Natalie Portman, Jacob Tremblay, Susan Sarandon, Kathy Bates… Un copione da più di trecento pagine, due anni di montaggio, una durata ipertrofica.
La parte di Jessica Chastain viene tagliata durante la post-produzione, la storia viene snellita, Dolan non riconosce più la sua creatura. Rifiuta l’invito al Festival di Cannes, prende tempo e va Toronto, dove le stroncature piovono a cascata. Trentacinque milioni di dollari di budget, poco più di due incassati. Un disastro che pensavamo non sarebbe mai approdato sugli schermi.
Nel raccontare le peripezie de La mia vita con John F. Donovan, ci sarebbe già il materiale per un altro film. Ma siamo davvero davanti a una catastrofe? Di sicuro è il lavoro meno riuscito di Dolan. La sua ben riconoscibile cifra stilistica è appannata, le inquadrature scorrono ultraveloci per diminuire il minutaggio. La musica sembra non accompagnare le immagini, esplode senza preavviso. Si passa da Rolling in the Deep di Adele fino a Bittersweet Symphony dei The Verve.
La leggerezza di Laurence Anyways o Mommy implode sotto il gigantismo narrativo. Tre vicende si intrecciano fra loro: un pargolo sogna di calcare i più importanti palcoscenici del mondo, un divo deve confrontarsi con la propria omosessualità e le regole del settore, una giornalista supera i pregiudizi e realizza un’intervista “a cuore aperto”. L’impianto scricchiola, ci si perde, come in un labirinto senza via d’uscita. L’ambizione prende il sopravvento, e forse la versione originale non la conosceremo mai. Tornano i temi cari a Dolan: la famiglia, la ricerca della propria identità, le passioni osteggiate, il difficile rapporto con i genitori (specialmente con la madre), i padri che abbandonano i figli.
Scopri anche: Consigli.it
E' solo la fine del mondo - Il film di Xavier Dolan in DVD su Amazon
Richiami a È solo la fine del mondo, J'ai tué ma mère, con la retorica che abbonda. In un cameo compare anche Michael Gambon nella parte di un vecchio saggio sospeso tra concretezza e spiritualità. Un film tempestoso (ormai sostenuto dalla curiosità dei cinefili e dei fan), plasmato nella bufera, che non riesce a trovare la sua misura. Ma Dolan ha già fatto un passo indietro, seguendo la parabola del figliol prodigo: è tornato in Canada e ripartito da un tenero legame come quello di Matthias & Maxime (presentato in concorso quest’anno a Cannes, qui la recensione). E non si è fermato qui: reciterà anche un piccolo ruolo nell’atteso It - Capitolo 2.
La mia vita con John F. Donovan uscirà nelle sale il 27 giugno distribuito da Lucky Red.
Guarda anche: IT - Capitolo 2, Jessica Chastain terrorizzata da Pennywise nel teaser trailer di tre minuti
Questo è l’inizio del film maledetto di Dolan, dell’esordio in lingua inglese dell’enfant prodige/terrible venuto dal Canada. Con un cast da urlo: Kit Harington, Natalie Portman, Jacob Tremblay, Susan Sarandon, Kathy Bates… Un copione da più di trecento pagine, due anni di montaggio, una durata ipertrofica.
La parte di Jessica Chastain viene tagliata durante la post-produzione, la storia viene snellita, Dolan non riconosce più la sua creatura. Rifiuta l’invito al Festival di Cannes, prende tempo e va Toronto, dove le stroncature piovono a cascata. Trentacinque milioni di dollari di budget, poco più di due incassati. Un disastro che pensavamo non sarebbe mai approdato sugli schermi.
Nel raccontare le peripezie de La mia vita con John F. Donovan, ci sarebbe già il materiale per un altro film. Ma siamo davvero davanti a una catastrofe? Di sicuro è il lavoro meno riuscito di Dolan. La sua ben riconoscibile cifra stilistica è appannata, le inquadrature scorrono ultraveloci per diminuire il minutaggio. La musica sembra non accompagnare le immagini, esplode senza preavviso. Si passa da Rolling in the Deep di Adele fino a Bittersweet Symphony dei The Verve.
La leggerezza di Laurence Anyways o Mommy implode sotto il gigantismo narrativo. Tre vicende si intrecciano fra loro: un pargolo sogna di calcare i più importanti palcoscenici del mondo, un divo deve confrontarsi con la propria omosessualità e le regole del settore, una giornalista supera i pregiudizi e realizza un’intervista “a cuore aperto”. L’impianto scricchiola, ci si perde, come in un labirinto senza via d’uscita. L’ambizione prende il sopravvento, e forse la versione originale non la conosceremo mai. Tornano i temi cari a Dolan: la famiglia, la ricerca della propria identità, le passioni osteggiate, il difficile rapporto con i genitori (specialmente con la madre), i padri che abbandonano i figli.
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La mia vita con John F. Donovan uscirà nelle sale il 27 giugno distribuito da Lucky Red.
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