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La 25^ ora

Spike Lee abbandona i conflitti razziali e si cala in una città aperta dal dolore.

La 25 ora

17.04.2003 - Autore: la redazione
Monty Brogan (Edward Norton) ha solo 24 ore per rimettere insieme la sua vita: all'alba del giorno dopo verrà rinchiuso per sette anni in un carcere, dopo che la polizia, in seguito a una soffiata, ha trovato mucchi di soldi e svariati chili di droga nei cuscini del suo divano. Monty è abbastanza intelligente da sapere che non ne uscirà mai, dalla galera, e che se mai ne uscirà vivo, sarà comunque un altro uomo. Le ultime 24 ore di Monty sono quindi abitate dal terrore, dal disgusto e da una strana malinconia. E dal rimpianto per una vita, quella di spacciatore, che non lo poteva portare da nessuna parte, se non ai cancelli di un carcere federale.   Nonostante la tensione centrifuga di Manhattan, e l'eccentricità del suo lavoro, Monty ha conservato gli affetti di vecchia data. E' con loro che decide di trascorrere la sua ultima notte di uomo libero. C'è la sua compagna Naturelle (Rosario Dawson), un'avvenente portoricana che forse ha venduto Monty alla polizia. C'è Jackob (Philip Seymour Hoffman), frustrato professore universitario attratto da una sua procace studentessa (Anna Paquin). C'è il rampante Slaughtery (Barry Pepper), un Gordon Gekko post 9/11. E poi c'è il padre di Monty, vigile del fuoco in pensione, uomo mite e comprensivo. Il genere di amici d'infanzia che quasi non riconosci più. E mentre Monty si chiede "sono questi i miei amici?", gli altri non sanno bene cosa dirgli, sapendo che non basterà per la sua ultima notte- farlo ubriacare e divertire.   Con loro - tra danze, locali, champagne e regolamenti di conti- Monty trascorrerà le sue ultime 24 ore. Fino ad arrivare alla 25esima, il tempo ipotetico dove tutto può accadere. Il luogo metaforico in cui la vita può essere riconsiderata, e gli errori non portano necessariamente alle conseguenze.   Spike Lee abbandona i conflitti razziali e si cala in una città aperta dal dolore. La sceneggiatura è tratta dal romanzo di David Benioff, ma il regista ha calato la storia nella New York del dopo 11 settembre, una città ferita e piena di paura. Fin dai titoli di testa, NY reclama il suo ruolo da protagonista, con quelle due grandi luci sparate verso l'alto a rimpiazzare il vuoto delle Torri.   E' la New York di Spike Lee. La New York evocata da una magistrale sequenza di montaggio: la New York dei tassisti pachistani, dei manifesti su Bin Laden, dei coreani che vendono frutta troppo cara, dei dandy di Chelsea, dei loft a Soho, dei neri che giocano a basket e che non passano mai la palla, degli italoamericani impomatati che agitato al vento le mazze da baseball.   Il film è di una bellezza da togliere il fiato, con alcune sequenze (come i dieci minuti finali) che si lasciano guardare in apnea. C'è un cast eccezionale, con in testa a tutti il meraviglioso Edward Norton, ormai divenuto il De Niro della nuova generazione, specializzato in ruoli disturbanti, scomodi. E in questo film, con un personaggio così complesso - uno spacciatore brillante e raffinato - Norton dà il meglio di sé. Philip Seymour Hoffman è sempre perfetto nei ruoli sudaticci, morbosi, mentre la protagonista femminile, Rosario Dowson, farebbe impallidire Jennifer Lopez per morbidezza e sensualità.   Insomma, il film di Spike Lee è una riflessione livida e profonda sulla fiducia, sull'instabilità dei rapporti, sui risentimenti inespressi. E sulle piccole occasioni (le 25esime ore) che possono cambiare un'intera vita.