
Il difetto principale de “Il quarto tipo” sta però proprio in questa idea di messa in scena, che in troppi momenti sembra prendere la mano al regista e diventa eccessivamente ostentata, barocca. Musica roboante in momenti di semplice raccordo, uso smodato dello split-screen infastidiscono in alcune parti in cui invece un’idea di cinema più semplice sarebbe stata anche decisamente più efficace. Anche la struttura narrativa del film appare notevolmente “costruita”, e gli snodi narrativi che portano alla conclusione della vicenda appaiono molto forzati.

Il punto di forza del film di Osunsanmi sta invece nel presunto materiale d’archivio, che possiede una notevole capacità di angosciare, se non addirittura spaventare il pubblico. Se l’autore fosse riuscito ad amalgamare meglio le due componenti estetiche su cui ha basato il suo lungometraggio, ne sarebbe davvero potuto venir fuori un piccolo gioiello di thriller/horror a basso budget. Il risultato invece rimane vagamente sospeso a metà, e lascia un certo sapore di amaro in bocca per l’occasione persa.

Riguardo l’interpretazione degli attori, la protagonista Milla Jovovich, smessi i panni di eroina action, dimostra un’evidente volontà di progredire come attrice drammatica, ma allo stesso tempo denota che i margini di miglioramento sono ancora tanti. Accanto a lei due caratteristi di consumato valore come Elias Koteas e soprattutto Will Patton, attore ormai poco adoperato ma che è sempre un piacere apprezzare sul grande schermo.
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Incontri ravvicinati per Milla Jovovich