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"Il diritto alla vita"

In occasione dell'anteprima stampa del suo ultimo film, l'attesissimo "La tigre e la neve", abbiamo incontrato a Roma il grande Roberto Benigni, regista, sceneggiatore e soprattutto protagonista della pellicola

Roberto Benigni

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
Nel sogno da cui parte “La tigre e la neve” avete ricostruito digitalmente i più famosi poeti italiani. Come mai questo omaggio “alto”?
“Mi pareva doveroso, in quanto amo la loro poesia. E poi, essendo Attilio un  poeta, il suo sogno doveva per forza essere popolato dai più grandi! Se anche non verranno riconosciuti dagli spettatori, sono comunque delle belle facce da sogno!”

La sua collaborazione con Vincenzo Cerami è ormai consolidata da parecchie pellicole: come vi dividete il lavoro e l’ispirazione?
“Se dovessi dire come nascono le nostra storie, in realtà non lo saprei fare; secondo me non si può sapere come nascono le storie, succede e basta. Quando noi due ci mettiamo a lavorare su un nuovo film , il nostro metodo di scrittura è ormai collaudato. Vincenzo è quello più attento alla composizione, alla struttura narrativa della storia, che in un certo senso è fondamentale per “tenere a freno il comico”. Io quindi sono quello dei due che ci mette il sentimento, la passione, come in questo film, che  a dire il vero quanto a gioia e voglia di scrivere mi ha proprio “sfasciato” di brutto!”

In una scena del film viene fuori un momento che potremmo definire “religioso”, in cui Attilio (il protagonista, ndr) si rivolge ad Allah con una preghiera cristiana…
“Non è che volessimo fare un vero e proprio discorso religioso, o peggio ideologico. L’elemento portante de “La tigre e la neve” è la voglia di vivere, che in Attilio è una forza motrice disperata, ma nel senso positivo. Per tutto il film lui continua ad agire, a muoversi, e facendo questo afferma il suo diritto alla vita, e quello della sua amata. Anche io sono come il protagonista, non mi va per niente di morire. Guarda, penso proprio che sarà l’ultima cosa che farò…”

Il film è ambientato nel 2003, all’inizio del conflitto in Iraq: lo reputa un film “politico”?  
“Assolutamente no. Non lo reputo neppure un film ideologico: si tratta di una pellicola che vuole andare dritta al cuore invece che alla testa. Vuole puntare al nocciolo dell’essere umano, entrargli dentro l’anima. Il tema d’altronde è quello più universale: l’amore che vince la morte. Un film come “La tigre e la neve” prima di tutto vuole far distrarre  commuovere. Un discorso diretto contro la guerra avrebbe rimbalzato sullo spettatore, mentre se indirettamente ti entra dentro e ti prende, allora può essere molto più efficace. Il mio eroe combatte la sua guerra personale, e lo fa seduto su una sedia da barbiere con uno scacciamosche in mano: questa è il messaggio, la poesia del mio film…”

E’ la seconda volta che in un suo film, dopo “La vita è bella”, che compaiono i soldati americani. Certo, la valenza stavolta è un po’ diversa…
“Nell’altro film venivano a liberare i prigionieri detenuti nel campo di concentramento, quindi personificavano la libertà. Ne “La tigre e la neve” rappresentano soltanto una presenza, senza nessuna presa di posizione ideologica nei loro confronti. Quello che tentiamo di fare nel lungometraggio è di non giudicarli: d’altro canto, sappiamo benissimo che nell’esercito americano entrano in prevalenza ragazzi che non hanno la possibilità di lavorare, e scelgono la vita militare come unico mezzo per sopravvivere…”

E’ prevista una visione de “La tigre e la neve” in Iraq?  
“Certamente! La collaborazione con gli iracheni per girare il film è stata fondamentale, soprattutto per quanto riguarda lo studio dei dialetti. Ci stiamo adoperando perché il film venga proiettato al più presto in Iraq, e spero ci riusciremo…”





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