La vicenda narra la presa di coscienza di James Gregory (Joseph Fiennes), bianco sudafricano fortemente convinto delle proprie idee razziste e deputato al compito di controllare un detenuto afroamericano dal nome di Nelson Mandela (Dennis Haysbert). Il contatto più che ventennale con il leader politico ed ideologico porterà pian piano Gregory a rivedere le proprie più radicate convinzioni.
Per capire bene questo film, o meglio l’operazione che c’è dietro ad esso, bisogna probabilmente fare un passo indietro ed analizzare i precedenti tentativi hollywoodiani – “Il colore della libertà” è comunque una co-produzione europea – di raccontare attraverso cinebiografie la vita e l’opera di importanti leader afroamericani, sia a livello politico che sociale o ideologico. Se pensiamo infatti al grosso sforzo produttivo mosso per “Malcolm X” (id., 1992) di Spike Lee e “Alì” (id., 2001) di Michael Mann, ed alla loro insoddisfacente resa commerciale (rimane comunque il fatto che si tratta di due film importanti e a loro modo straordinari), si capisce allora come per raccontare Nelson Mandela si sia passati attraverso la scelta del prodotto il più possibile “medio”: uno sforzo non eccessivo per un’opera adatta a soddisfare palati forse meno esigenti.
Basato sulla sceneggiatura scritta da Greg Latter, che a sua volta ha adattato il libro scritto da Bob Graham e dallo stesso James Gregory , il film vede alla regia di questa pellicola il danese Bille August, che da quando ha lasciato la patria natia ed ha lavorato in giro per il mondo ha saputo regalarci opere di uno sconcertante anonimato. Il suo ultimo film degno di considerazione è infatti il lontano “Con le migliori intenzioni” (Den Goda viljan, 1992).
Evidentemente il suo essere un cineasta di sicuro affidamento artigianale ma di scarsa vena personale deve aver convinto la produzione del fatto che il film non sarebbe venuto fuori particolarmente interessante, quindi “scomodo”. Ed infatti questo è successo a “Goodbye Bafana”, opera che si trascina per due ore e venti attraverso un racconto preciso quanto piuttosto convenzionale: trattando un personaggio così importante per capire le contraddizioni e le ambiguità della situazione politica africana –e non solo – degli ultimi anni, quello che si sarebbe dovuto evitare ad ogni costo erano la retorica ed il didascalismo. Con Bille August a dirigere il film l’operazione era quindi minata già in partenza. Se poi si aggiunge a questo un protagonista monocorde come Joseph Fiennes, chiamato ad interpretare un personaggio molto sfaccettato, l’intenzione di “addolcire” i toni risulta addirittura smaccatamente esplicita.
Confezionato con evidente cura, grazie soprattutto alla fotografia di Robert Fraisse ed alle musiche del “nostro” Dario Marianelli, “Il colore della libertà” risulta un film senza infamie né lodi, e probabilmente questo è il suo maggior difetto: non aver rischiato nulla nell’aver raccontato una delle figure più importanti della nostra storia contemporanea.
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Il Colore della Libertà
Basato sulla sceneggiatura scritta da Greg Latter, che a sua volta ha adattato il libro scritto da Bob Graham e dallo stesso James Gregory , il film è diretto dal danese Bille August
12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani