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"I lupi dentro"

"I lupi dentro"

i lupi dentro

12.06.2001 - Autore: Luca Persiani
La vita e i luoghi del pittore Antonio Ligabue e di tutti gli artisti naif della bassa padana (come Rina Bittasi, Bruno Rovesti, Udo Toniato, Elena Guastalla, Adele Casoli, Serafino Valla, Vandino Daolio, Giancarlo Gandini). Interviste e documenti antichi e contemporanei di personaggi particolari e stravaganti, fra paesaggi sospesi e cupi, colori sgargianti ed enormi sacche di tristezza, sulle tracce dei cambiamenti che il tempo ha inciso nellambiente, nelle persone e nelle emozioni.   Il giudizio Sconfinato (180 minuti) e faticoso documentario darte nonché atto damore nei confronti di atmosfere e personaggi spesso estremi e marginali, consigliato solo agli amanti della pittura presa in esame e dei luoghi descritti.   Il commento Autore di numerosi documentari sulla pittura, soprattutto negli anni sessanta, e in particolare di tre film che cercano di cogliere la vita e larte del pittore Antonio Ligabue, Raffaele Andreasi costruisce un film pensato programmaticamente per un pubblico ristretto e interessato in particolare allarte descritta. Partendo dalla figura sbilanciata, geniale e folle di Ligabue, tenta una messa in scena del mondo dellEmilia del Po essa stessa naif, costruita con lutilizzo massiccio della macchina da presa a mano sui luoghi di cui intende cogliere le emozioni, e con la massima libertà che una troupe leggerissima (lui stesso come operatore e un assistente) gli può consentire. Quello che ne viene fuori assomiglia però più ad un enorme film familiare (per quanto ben curato nella fotografia e nelle scelte cromatiche), tutto girato con la camera a mano cosa che sporca notevolmente le immagini e le rende più difficili, inframmezzato da interviste ad artisti e a piccole e grandi figure felliniane insieme tristi ed ispirate, geniali e sconcertanti, a volte neanche direttamente collegate col mondo dellarte (come il guardiano delle anatre che sostiene di intrattenere con gli animali lunghe conversazioni). E chiaro che il film non è che uno sconfinato, personalissimo atto damore del suo autore verso le emozioni che gli ha suscitato la conoscenza di Ligabue e i ricordi e le sensazioni dei luoghi del Po e dei suoi abitanti, un fiume visto come un gigantesco animale malato che linquinamento ha cambiato radicalmente nella sua fauna animale ma che esercita ancora un fascino assoluto sui (pochi) esseri umani che lo popolano e continuano, nonostante tutto, ad essere stregati dalla sua magia. Decisamente stancante, in questo contesto, la scelta del regista di fare un film di tre ore, dove la lunghezza è dovuta al tentativo di riportare il più efficacemente possibile sullo schermo i ritmi e le cadenze dei paesaggi narrati, scelta che spesso rende molto arduo il mantenimento della soglia minima di attenzione. Daltro canto particolarmente interessanti sono gli spezzoni girati da Andreasi in passato per i documentari su Ligabue, dove il pittore viene osservato mentre dipinge e in momenti di vita quotidiana significativi. Ligabue si mostra, gioca come un attore con la macchina da presa attraverso e nonostante la sua malattia, ma alla fine, travolto dalla consuetudine della presenza dei cineasti, si scorda delle luci e dellattenzione per piangere e lamentarsi, come spesso usava fare, davanti ad un quadro che non lo soddisfaceva. Ed è questo disagio estremo, tristezza, solitudine e male di vivere che con più precisione che altro il film porta alla luce con estrema onestà.  
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