
Il suo Killer in viaggio (Sightseers, con cui vinse la Palma per il Miglior Cane al Festival di Cannes del 2012) aveva già mostrato un certo gusto per il paradosso e la violenza ingiustificata, ma allora la forma aveva evidentemente aiutato a conservare un certo equilibrio nella narrazione. Che qui non si avverte. Probabilmente volutamente, con effetti deleteri. Soprattutto per quanto riguarda la traducibilità del testo di partenza, non stravolto nella sostanza, ma decisamente reso più ostico.
Non convince l'estetizzazione generale, e la descrizione del classismo british anni settanta alla Arancia Meccanica. Il setting è estremamente curato e coerente, ma nella cornice creata i personaggi si muovono secondo percorsi predefiniti e chiari, purtroppo restando più fedeli all'origine letteraria che alla necessità di caratterizzazione dei singoli ruoli. Certo, quello che sconvolge del testo è proprio la tendenza umana a nascondersi vigliaccamente dietro il 'numero', spingendosi oltre i confini che ogni individuo riconosce. Ma sono proprio le figure simbolo nel racconto a non andare oltre la propria carica allegorica.

Di conseguenza mancano la durezza e la forza che erano e ci si abitua facilmente a un habitat rarefatto e sempre più cupo che si tenta di rianimare con trovate da avanguardia un po' datate… nudità, sesso, travestitismo, cromatismi restano immagini slegate in un mastondontico montaggio e la rappresentazione del vizio non sconvolge nessuno, finendo con il trasmettere al pubblico soprattutto la sensazione di indifferenza del protagonista Tom Hiddleston (perla tra le perle di un cast che annovera Jeremy Irons, Sienna Miller, Luke Evans, Elisabeth Moss e James Purefoy).