L'idea di spostare al presente la classica ambientazione fantasy, con elfi, nani, orchi, fate, draghi e tutto il campionario tolkieniano, non è nuova. Ma è sempre affascinante e giustamente viene rivisitata, anche perché permette di creare uno specchio deformato della realtà in cui viviamo per esaminarla più a fondo con l'arma dell'iperbole.
Nel caso di Bright, action/fantasy diretto da David Ayer per Netflix, il tema centrale è chiaramente il razzismo, la natura tribale che gli esseri umani non sono riusciti a scrollarsi di dosso anche dopo aver inventato la società. Ayer sceglie saggiamente un attore nero come protagonista (Will Smith, sempre a suo agio come uomo d'azione), per veicolare un messaggio che è la cosa migliore del film: l'Uomo cercherà sempre un nemico, qualcosa o qualcuno su cui sfogare la propria negatività. Nel caso del presente alternativo di Bright, siccome gli umani non sono l'unica specie dominante del pianeta, tra loro hanno fatto quadrato. Non pare esserci né razzismo né sessismo tra i poliziotti umani del film, ma appena metti un orco nell'equazione, apriti cielo. “Gli orchi sono malvagi per natura”, “Danno più valore al clan che al distintivo” e via così. Il razzismo è diretto all'esterno, ma sempre razzismo è (ok, è specismo, ma non stiamo a sottilizzare).
Con una semplice metafora, Ayer e lo sceneggiatore Max Landis (Chronicle) rendono alla perfezione il concetto. Questa semplicità è al tempo stesso la migliore qualità e il peggior difetto di Bright. Perché da un lato serve a costruire un film abbastanza snello, in cui una mitologia complicata (duemila anni fa c'è stata una guerra stile Signore degli Anelli con cui le razze hanno debellato il Signore Oscuro, gli orchi erano dalla parte sbagliata e per questo sono tutt'ora odiati) viene sintetizzata e messa da parte per focalizzarsi sulla trama poliziesca (con MacGuffin magico, ovviamente). Dall'altro, però, tolti gli elementi fantastici Bright è anche troppo aderente alla formula del buddy movie poliziesco. Al posto del bianco e del nero ci sono il nero e l'orco (Joel Edgerton). Al posto degli agenti FBI rivali ci sono i federali della magia (un elfo e un umano). Al posto dei terroristi, degli elfi rinnegati con un piano malvagio. Ma la sostanza non cambia. E fa sorridere, fino a un certo punto, vedere questi cliché applicati a un mondo alternativo, ma dopo un po' l'effetto novità svanisce e restano solo i cliché.
Ciò detto, Bright è comunque piacevole, soprattutto grazie all'apporto di Ayer. A differenza di Suicide Squad, dove era un pesce fuor d'acqua, qui riesce a far uscire la sua cifra autoriale. Bright è in tutto e per tutto un film di David Ayer (pur non essendo scritto da lui) e ha molto in comune con Training Day, End of Watch e Sabotage. È ambientato tutto in una notte, i protagonisti sono due poliziotti onesti braccati da gang e da colleghi corrotti (che vorrebbero intascarsi una bacchetta magica anziché denaro sporco) ed è ambientato a Los Angeles. Ayer riesce così a dare il meglio anche se la materia esula un po' dalla sua “comfort zone”, applicando la sua particolare ricetta di brutale realismo a una storia popolata di mostri e creature sovrannaturali che fa il verso al classico Alien Nation.
Entro la fine del film, l'umano e l'orco avranno imparato a fidarsi l'uno dell'altro e saranno diventati amici, come da tradizione. Il finale esplosivo evoca molto da vicino il cinema di Shane Black e chiama a gran voce un sequel, che sarebbe perfetto per esplorare più nel dettaglio un mondo potenzialmente ricco ma sfruttato troppo poco.
Bright sarà disponibile su Netflix dal 22 dicembre.