
Anche troppo, a tratti. Vista la messa in scena piuttosto tradizionale e l'altrettanto 'da manuale' crescendo (pur con il dubbio che si tratti di 'fall and rise' e non di 'rise and fall') che Budreau organizza prima in fase di scrittura e poi di regia. Il taglio resta piuttosto patinato, più affettato, tendente al vintage e carico di cliché - soprattutto sulla West Coast statunitense e sulle faide tra musicisti - di quanto la drammaticità di alcune scene avrebbe potuto suggerire.
Eppure con una sua onestà, assoluta, come molti recenti film biografici non hanno saputo mettere in scena. Merito certamente dell'interprete principale, la cui passione emerge sullo schermo, anche per i sei mesi di studio passati a perfezionare canto e manualità sulla tromba. Probabilmente la vera protagonista, considerata anche l'interessante insistenza della macchina da presa a portarci spesso dentro la sua campana.

Escamotage quasi simbolico, della necessità di passare attraverso 'Lei' per raggiungere il suo padrone. Imprescindibile, per noi del pubblico, ma anche per le figure della vita del travagliato artista, come vediamo sullo schermo. E come ci raccontano le cronache, riguardo principalmente la sua dipendenza dall'eroina. C'è droga, violenza, dramma e amore, ma il film non è qui. È proprio abbandonando questo livello superficiale ed eccessivamente manierato che emerge l'anima che un biopic deve avere. Quasi in maniera subliminale, in questo caso. Fino alla conclusione, e alla emissione della definitiva condanna, evidente sin dal titolo, ma che tradotta in musica ci porta lontano e resta con noi fino oltre i titoli di coda.