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BABY BOY - Una Vita Violenta

BABY BOY - Una Vita Violenta

baby boy

08.11.2001 - Autore: Luca Perotti
Regia: John Singleton Con Tyrese Gibson, Snoop Dog, Ving Rhames Distribuzione: Columbia     La Trama Nel difficile quartiere di South Central a Los Angeles, la vita di Jody va avanti in modo paradossale. Pur essendo già padre di due bambini avuti da due ragazze differenti, Yvette e Peanut, non riesce a staccarsi dal nido dove abita ancora con la madre. Perennemente disoccupato, subisce quotidianamente le esortazioni di Yvette con cui è ancora sentimentalmente coinvolto malgrado le confessi gli innumerevoli tradimenti. La situazione si complica con larrivo in casa di Melvin, il nuovo compagno della madre: un rozzo ex-galeotto con il quale non riesce affatto a relazionarsi e che gradualmente preme affinché Jody abbandoni labitazione. Dalla prigione esce il suo rivale in amore, Rodney, che in seguito al litigio tra Jody e Yvette si sistema a casa della ragazza per niente affascinata dallidea ma incapace di reagire. Il percorso verso letà adulta di Jody ovvero verso linserimento totale nel ghetto presenta troppe incognite e disagi anche di natura violenta che egli condivide con lamico fraterno SweetPea. Il passo decisivo sarà compiuto dopo laccettazione di violenti compromessi a causa dei quali il mammone ( Baby boy) Jody si calerà nel contesto che lo circonda con tutte le regole da rispettare, buone e cattive, conseguenti ad una scelta del genere.     Il Commento Terzo capitolo della personale trilogia della giungla di John Singleton dieci anni dopo quel Boyz N the Hood che si impose come spartiacque del cinema afroamericano per la crudezza con la quale descriveva la realtà del ghetto e dopo il secondo episodio, Poetic Justice, ancora incentrato su personaggi desunti da un tessuto sociale che il regista conosce bene. Singleton stavolta opta per un punto di vista inconsueto, frapponendo tra sè e la comunità nera la vigliaccheria comprensibile di Jody, ancora restìo ad accettare totalmente le leggi non scritte ma paradossalmente incancellabili e oggettive che regolano un universo che sembra ormai aver digerito un destino inesorabile. Lo sguardo di Singleton si pone ad altezza duomo riscoprendo una plausibilità raramente riscontrabile altrove, soprattutto negli screzi, nei dialoghi tra uomo e donna e tra genitori e figli, frutto oltretutto del miracolo di una squadra di attori encomiabili. I rapporti sfociano nel bisogno di stabilità, persino di tacita sottomissione da parte delle donne, costrette ad educare da giovanissime dei bambini privi di una figura paterna affidabile che barattano tuttavia con una sicurezza dettata anche dalla violenza. Non senza una punta di retorica, unico difetto rilevabile e che condivide con i personaggi stessi del suo film, Singleton narra con una credibilità quasi documentaristica per quanto è cinica, la mentalità, lo stile di vita di una collettività sorretta dalledonismo, dallautocommiserazione, da una vittimistica concezione razzista di sé. E riesce a raschiare la superficie fatta di aborti, molestie e teppismo arrivando a pungere il nervo per riscontrare con dolore lesistenza di unimmaturità diffusa, di un abituale gioco di uso e abuso reciproco che acquisisce una natura selvaggia, animalesca il cui obiettivo sembra configurarsi in uno stato di sopravvivenza instabile perché messa in pericolo giorno dopo giorno da un sistema di valori già logorato in partenza ma tuttavia onesto e giustificabile per chi deve costantemente fare di necessità virtù in un mondo in cui il fine giustifica i mezzi. Jody varca la soglia di casa per una vita finalmente indipendente quando affronta e provoca la violenza e la morte accettandole come autoritarie e immancabili compagne di vita. Un Singleton duramente politico, finemente antropologico, ma soprattutto talentuosamente realistico.      
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