
Gran parte del merito va alla scrittura delicata di Miyazaki, capace di delineare storie e personaggi che non hanno nulla di nuovo ma che, appunto, contengono in sé la tradizione delle fiabe. La storia è quella di Sho, un ragazzino malato di cuore che trascorre l'estate nella casa di campagna della nonna, in attesa di un'operazione che potrebbe salvarlo o condannarlo. Presto scopre che sotto la cascina, in una casa minuscola, vive una famiglia di uomini in miniatura: padre, madre e la figlia Arrietty. I tre fanno parte della stirpe dei “rubacchiotti”, creaturine che sono solite sequestrare piccoli oggetti dalla casa degli umani, durante la notte. C'è una sola regola: non essere scoperti. E quando Sho fa amicizia con Arrietty, i suoi genitori decidono che è ora di partire.

Lo svolgimento ricorda quello de “Il mio vicino Totoro”, principale capolavoro di Miyazaki (e infatti il Totoro è diventato il simbolo dello Studio). Yonebayashi ne mantiene il senso della scoperta di un mondo fantastico che si credeva inesistente o estinto, e bastano pochi tocchi registici e brevi linee di dialogo per scaldare il cuore. Certo, se “Totoro” è il punto di riferimento, è ben lungi dall'essere raggiunto. Ma gli splendidi disegni, i colori e le animazioni sono sufficienti per conquistare e tenere incollati alla poltrona grandi e piccini. Nell'era dell'animazione digitale, Ghibli e Miyazaki continuano a provare che c'è anche una via per l'animazione tradizionale. Chi condivide questo, farà meglio a non perdere “Arrietty”.
“Arrietty” è distribuito nelle nostre sale da Lucky Red.