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Vinicio Canton, lo story editor

Per capire meglio come nascono le storie delle fiction italiane abbiamo incontrato Vinicio Canton, milanese, trapiantato a Roma e innamorato di Napoli, dove ha lavorato nel team di "Un posto al sole". Da tre anni è story editor per "La Squadra".

La squadra

14.03.2003 - Autore: Sabrina Ramacci
Per capire meglio come nascono le storie delle fiction italiane abbiamo incontrato Vinicio Canton, milanese, trapiantato a Roma e innamorato di Napoli, dove ha lavorato nel team di Un posto al sole. Da tre anni è story editor per La Squadra.   Una fiction identificata come una catena di montaggio. Perché?   V.C.: \"Partendo dal presupposto che questa serie è come una catena di montaggio, spiego cosa accade. Dal momento in cui nasce lidea e si realizza la sceneggiatura di una puntata trascorrono nove settimane, non un giorno di più. E un lavoro di tipo industriale perché ci sono tutta una serie di limitazioni che devono essere rispettate, il linguaggio deve essere uniforme e coerente, la continuità psicologica dei personaggi è essenziale.\"   La scrittura può adeguarsi ad un meccanismo razionale?   V.C.: \"Sì, non è un limite creativo, tantomeno una sofferenza. Lavorare così impone certe regole, costringe a trovare soluzioni in tempi brevi, il che non vuol dire che siano le peggiori o le prime che vengono in mente. Sei allenato alla necessità e fai di necessità virtù.\"   Come valuta le altre fiction italiane?   V.C.: \"In realtà sono tutte molto diverse tra loro ma credo che ogni singola esperienza sia importante per creare una cultura della produzione seriale e compiere il passaggio da una situazione artigianale. Esistono ancora dei limiti culturali, ad esempio, abbiamo tentato di inserire sporcature nelle sceneggiature, ma non sempre c\'è una corrispondenza nel prodotto finale.\"   Intende sporcature stilistiche come nel caso di NYPD Blue?   V.C.: \"Sì. Era uno dei riferimenti, o almeno lo è stato per molto tempo.\"   Quali altri?   V.C.: \"Noi. No, al di là della battuta. In realtà cito sempre E.R., la mia passione. Una serie corale in cui tutti i personaggi sono protagonisti. Racconta di persone che vivono le loro vite nell\'ambiente di lavoro, lo spettatore si affeziona ad ognuna di loro.\"   Non si rischia di cadere nello stile della soap opera?   V.C.: \"La definizione di soap è strana. Identifichiamo la soap come un brutto prodotto mentre concettualmente il tipo di vicende che raccontano è semplicemente la vita: amore, guerre e passioni. Da Adamo ed Eva a Caino e Abele in poi... la prima è la storia di un furto, la seconda di un omicidio.\"   Passando quindi a passioni più colte?   V.C.: \"Personalmente penso a Simenon e James Ellroy.\"   E la cronaca?   V.C.: \"E il referente massimo. Moltissimi dei casi che abbiamo scritto sono ispirati a fatti di cronaca, magari tratti da un trafiletto o da una breve e poi trasformati.\"   \"La Squadra\" è anche un modo per rivalutare le forze dellordine e una città difficile. Di ridefinire i buoni e i cattivi?   V.C.: \"Napoli è una metropoli molto particolare con una lingua, una cultura e una tradizione assolutamente proprie, una città unica in Italia. Inoltre l\'esperienza di Un posto al sole aveva creato un back ground industriale e produttivo importante. Per quanto riguarda le forze dellordine credo che difendano la convivenza civile, sono una parte della collettività. Siamo noi cittadini che sbagliamo, abbiamo la sindrome dei Carabinieri di Pinocchio.\"  
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