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Un maestro uscito dalla matita
Un uomo dalle mille sfaccettature. Eclettico, pigro, preciso, incostante. Una serie di sinonimi e contrari per Jacovitti, grande maestro del fumetto italiano.

19.05.2009 - Autore: Roberto Arduini
Benito Franco Giuseppe Jacovitti nasce a Termoli il 9 marzo 1923. Sua madre Elvira Talvacchio ha origini albanesi e il padre Michele, molisano, lavora alle ferrovie. Il fratello Mario e la sorella Maria, più piccoli di lui, completano il quadretto familiare. A otto anni Benito lascia Termoli per Ortona a Mare, a undici è a Macerata, a sedici è a Firenze dove frequenta la scuola d\'arte e il liceo artistico e ha come compagni Franco Zeffirelli e Federico Fellini. È proprio al liceo di Firenze che gli viene dato il soprannome Lisca di Pesce, tanto è alto e magro. E\' per questo che firmerà ogni lavoro con una lisca di pesce rossa sotto il cognome.
Proprio a sedici anni comincia a produrre le prime vignette satiriche, ma la sua carriera artistica era iniziata molto prima. Aveva cinque anni quando disegnò alcune storie a fumetti su lastroni di pietra per strada. La gente si fermava a guardare. Erano i suoi primi ammiratori.
Inizia professionalmente nel \'39, quando pubblica sul \"Vittorioso\" le strisce intitolate \"Pippo e gli Inglesi\". Da quellanno fino al 1966 inizia collabora per questo giornale e per il Travaso. Dal 1956 al 1967 lavora anche a Il Giorno, nel supplemento Il Giorno dei ragazzi, creando una quarantina di personaggi. In particolare, Pippo Pertica e Palla, che divengono subito i personaggi più celebri del periodico, con le loro avventure che li portano sulla Luna, in viaggio nel tempo, nel West e nelle foreste africane.
Per tutti gli anni settanta lavora al Corriere dei Ragazzi e al Corriere dei Piccoli. Poi disegna per L\'Europeo e per Linus. Intanto, dà forma grafica alla collana di diari dalla tipica carta gialla, \"Diario Vitt, veri e propri compagni di scuola per moltissimi ragazzi. Illustra in seguito il Pinocchio di Collodi in un\'edizione che ha un grandissimo successo.
Ha lavorato molto anche per la pubblicità. Si ricordano ancora le più importanti: i gelati Eldorado con Cocco Bill; i formaggini Mio con il gatto Maramiau. E i salumi Fiorucci.
Lavora infine per \"Il Giornalino\" delle Edizioni Paoline, disegnando sempre il suo Cocco Bill. Benito Jacovitti muore il tre dicembre del 1997, seguito a brevissima distanza temporale, dalla moglie.
Nel 1999, Silvia Jacovitti per mantenere vivo il ricordo del padre Benito Jacovitti e nel contempo per valorizzarne lopera ha istituito la Borsa di studio Benito Jacovitti, organizzata da a Milano alla manifestazione Cartoomics.
Oltre ad essere popolarissimo, Jacovitti è stato anche uno degli autori più prolifici d\'Italia. Al suo attivo ha ben oltre 300 storie tra testi e disegni, migliaia di vignette, manifesti, cartoline, pupazzi e figurine. Dal grande estro creativo, \"Jac\" ha sempre avuto un grande senso del paradosso e dell\'assurdo.
L\'UOMO
Tra la galleria dei suoi personaggi se ne dovrebbe aggiungere un altro: Jacovitti. Infatti il grande Benito sembra uscito dalla sua stessa matita. Le persone vicine lo ricordano come un tipo a cui piaceva scherzare. Amava fare scherzi a chiunque capitasse sotto tiro. Dal 1971 fumava degli enormi sigari, sopratutto dove era chiaramente vietato fumare. Amava la musica jazz, il jazz caldo degli anni 30. Banjo e batteria erano i suoi strumenti preferiti. Era appassionato di film western, soprattutto quelli violenti. Aveva il terrore dell\'aereo ed era di una pigrizia sfrenata. Tuttavia ha lavorato per più di 60 anni ed era impiegato di se stesso. Dalle 7 di mattina alle 12,30. Dalle 14.00 alle 17.00 (quando era più giovane fino alle 19.00). Era un abitudinario quasi sconfortante. Tuttavia viveva nel suo studio. E\' lì, sulla sua scrivania che si scatenava tutta la sua fantasia e vitalità. Il suo mondo fisico era grande 30 metri quadri scarsi. Ma il suo mondo interiore era gigantesco. Molti hanno paragonato il suo lavoro alle opere di Escher, di Bosch e Bruegel. Aveva una fantasia incontrollabile, che lo portava a produrre storie sempre più assurde e contorte. Le sue tavole sono riempite sino all\'inverosimile oltre che dai personaggi della storia da piedi, pettini, salami, vermi. L\'arma di Jacovitti era il pennino Perlier (non usava rapidograph o altri strumenti complicati come li chiamava lui) una boccetta d\'inchiostro nero e un foglio di carta porosa. Disegnava, impaginava, scriveva i testi, dava i chiari-scuri, insomma, faceva ancora tutto da solo. Soltanto i colori faceva dare a un amico-collaboratore, decidendoli però sempre lui. Jacovitti era autodidatta, casalingo, irresistibile. Insomma, un grande maestro...