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Paradise now

Farà discutere, ed è un bene, il nuovo film di Hany Abu-Assad, regista palestinese che esplora l'universo intimo di due giovani kamikaze nell'imminenza di un attacco suicida.

paradise now

12.04.2007 - Autore: Gianluca Farina
Farà discutere l'ultima pellicola del palestinese Hany Abu-Assad, nelle sale italiane a partire da sabato 15 ottobre anzichè, come da programma, venerdì 14, slittamento dovuto allo sciopero indetto dal mondo dello spettacolo al gran completo per protestare contro i forti tagli al settore contenuti dalla legge finanziaria ormai alle porte. E' destinato ad aprire accesi dibattiti, dicevamo, Paradise now, film candidato per una nomination all'Oscar come migliore opera straniera, pellicola che fotografa sul campo (le riprese si sviluppano tra il territorio martoriato di Nablus e la moderna Tel Aviv) le condizioni di una popolazione che vive da lunghi anni sotto l'occupazione israeliana, che disegna la cornice e tenta di esplorare le motivazioni entro le quali un essere umano -  non un eroe e nemmeno un mostro - coltiva e mette in atto il proposito di uccidere e morire. 

I protagonisti, Khaled (Ali Suliman) e Said (Kais Nashef), sono due giovani palestinesi, amici fin da piccoli, annoiati carrozzieri in un povero sfascio, ragazzi che passano il tempo tra lamiere e narghilè, dentro una città i cui confini sono di filo spinato, tute mimetiche e fucili puntati. Ma la noia lascia presto il posto alla tensione, l'imminenza del gesto estremo ruba la scena alla claustrofobica routine, quando gli uomini della resistenza comunicano a Khaled e Said di aver accettato la loro candidatura al"martirio", figlia cieca della rabbia, ma anche di un padre collaborazionista . Saranno 24 ore attraversate da adrenalina, paura, ultime cene, professioni di fede con il corano in una mano e il mitra nell'altra. Ore nelle quali emergerà anche la figura di Suha, figlia di un uomo considerato eroe della resistenza palestinese.

Una ragazza tornata a casa dopo aver studiato all'estero, voce e corpo di un altra opzione di lotta, che corre su strade totalmente estranee alla visione terrorista della lotta, forte della convinzione che quest'ultima conduca ad un binario morto. "Credo che si tratti di una storia importante da raccontare - dice il regista - Personalmente sono contrario alla violenza, ma il film propone qualcosa di più complesso della mia visione delle cose. Ciascun personaggio ha la sua opinione ed entra in conflitto con se stesso e con gli altri". Conflitti, appunto, che esploderanno senza soluzione di continuità allorquando l'operazione originaria incontrerà ostacoli imprevisti, che lungo il percorso hanno l'effetto di dividere fisicamente e nella coscienza i due giovani ora con la bomba innescata intorno alla vita. 

"Thriller realistico", come tiene a sottolineare il regista Hany Abu-Assad (inoltre sceneggiatore insieme all'olandese Bero Beyer, a sua volta produttore del film), realizzato interamente con soldi europei, distribuito in Italia dalla Lucky Red e patrocinato da Amnesty International, Paradise now beneficia della scelta di girare proprio a Nablus, set che consegna senza sforzo alcuno una forte dose di realtà. Il nuovo film del regista di "The 14th chick", "Ford Transit" e "Rana's wedding", ha il coraggio di affrontare un argomento perlopiù tirato in ballo in modo ideologico, esplorando al contrario l'intimità, il punto di vista proprio degli attentatori suicidi. Non certo con l'intenzione di leggittimare la scelta kamikaze, bensì, ancora parole di Abu-Assad, di "sfatare sia il mostro che il martire per puntare alla dimensione umana, conscio che finchè non si arriverà a dare gli stessi diritti ai palistinesi, ragazzi pronti a diventare kamikaze saranno sempre disponibile".
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