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Kevin Kline

"Ho spesso rifiutato ruoli straordinari in film straordinari" ha detto una volta " e non ho mai avuto il più piccolo rimpianto".

Life as a house

12.04.2007 - Autore: Luca Perotti
Malgrado di acqua sotto i ponti ne sia passata parecchia dal suo approdo a New York dalla nativa St.Louis negli anni settanta, Kevin Kline non sembra aver smarrito la convinzione che il mestiere di attore consista in un continuo mettersi in discussione senza sentirsi mai arrivato. Eppure di gavetta il protagonista de “L’ultimo sogno” ne ha fatta a bizzeffe, prodigandosi in tour teatrali in giro per gli States alle prese soprattutto con l’amato Shakespeare e, alla pari di molti colleghi, esordendo in una soap opera, ‘Search for Tomorrow’, accantonando le pretese di chi si è formato come un attore classico, pur di farsi notare e soprattutto di procurarsi il cibo. Il risultato di tanta esperienza confluisce ora nella sua abituale riluttanza ad accettare qualsiasi copione ad occhi chiusi, preferendo selezionare invece di apparire ad ogni costo. Il prezzo da pagare è quello di un marginale ritorno pubblicitario per chi come lui ha scelto di sostare nelle retrovie dello star system nonostante le notevoli doti di versatilità e di abilità attorica mai pienamente riconosciute. Una carriera illuminata dall’assegnazione dell’Oscar quale miglior attore non protagonista guadagnato grazie allo scoppiettante ‘Un pesce di nome Wanda’ nei panni di un ladro isterico e geloso che farnetica su Nietsche e in cui Kline mostrò la sua ineguagliabile esuberanza, così lontana dal suo carattere riservato, replicata nel meno fortunato “Ti amerò fino ad ammazzarti” dove interpreta la parte di un pizzettaio fedifrago. La rampa di lancio verso la conquista della statuetta fu scandita soprattutto da due film: ‘ La scelta di Sophie’ e ‘ Il grande freddo’. Nel primo, datato 1982, il suo vero e proprio esordio nel cinema, recita accanto all’allora onnipresente Meryl Streep il ruolo di uno schizofrenico amante ebreo durante la seconda guerra mondiale; nel secondo, il nostalgico ritratto funebre di una generazione in stato confusionale, incarna il cruciale personaggio che da idealista si è trasformato in capitalista: in poche parole il nucleo stesso del film di Kasdan. Lo stesso Kasdan lo ha voluto nel cast di ‘Grand Canyon’ e di ‘Silverado’ che è emblematico della tendenza di Kline ad accettare ruoli piccoli in film molto ambiziosi. “Ho spesso rifiutato ruoli straordinari in film straordinari” ha detto una volta “ e non ho mai avuto il più piccolo rimpianto”. Ed infatti, dopo l’Oscar, il percorso professionale di Kevin Kline è proseguito sottovoce, lontano da strombazzamenti, al limite della sottovalutazione. Una scelta consapevole, però, di chi preferisce perfezionare il metodo, arricchire tassello dopo tassello la sua partitura di attore. Kevin Kline è uno dei pochi artisti odierni che penetra nel personaggio conservando un visibile distacco, lavorando e insistendo sui propri gesti, smussandoli e uniformandoli al ruolo in questione per poi sgusciarne via. Lo stesso metodo dei grandi attori hollywoodiani ma senza mai sfiorare la caricatura di se stesso; al contrario definendo i tratti del personaggio a partire da sé comunicando però allo spettatore quello scarto tipicamente teatrale e antinaturalistico che separa Kevin Kline attore dalla parte assegnatagli. Questa sua operazione lo ha dotato di un eclettismo corposo, privo tuttavia di antipatiche derive macchiettistiche. Tale versatilità si raddoppia persino nello stesso film come nel 1993 in ‘Dave presidente per un giorno’ e in ‘Wild Wild West’ del 1999 nei quali si appropria della figura del presidente e del suo doppio, giocando principalmente sulle sfumature e sui vuoti piuttosto che sull’iperbole e sull’eccesso. Assolutamente a suo agio sia nelle commedie che nei film drammatici, Kline sostiene di aver imparato entrambi i generi a furia di osservare i suoi istrionici genitori: il padre ebreo e la madre cattolica. “Mia madre era il personaggio melodrammatico della famiglia, incarnava la tragedia; e ho imparato l’arte della commedia, invece, guardando le reazioni di mio padre perché ci voleva davvero un gran senso dell’umorismo per starle accanto”. Tradotto in film ecco allora spuntare la sua vena sbarazzina accanto a Meg Ryan in “French Kiss”, commedia romantica tipicamente ‘nineties’ e nel recente “In & Out” in cui è un insegnate costretto ad un improvvisa e tutt’altro che calcolata confessione sulla sua sessualità. Sul versante drammatico, il ruolo più incisivo e più calibrato in virtù anche della superba regia di Ang Lee sembra essere quello di Ben Hood, l’adultero insoddisfatto e debole al centro dei microdrammi che denudano la crisi di una famiglia e di un’epoca nell’eccellente “Tempesta di Ghiaccio” del 1997.  
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