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"Io, cacciatore di criminali"

Attore poliedrico, al suo attivo cinema, teatro e tv, Thomas Gibson è il protagonista di 'Criminal Minds', serie che debutta a febbraio su Fox Crime. Lo abbiamo intervistato.

Thomas Gibson

16.01.2006 - Autore: a cura di Rossana Cacace
Thomas Gibson è noto al grande pubblico per interpretare il ruolo di Greg nella serie tv Dharma & Greg e per il  telefilm Chicago Hope. In campo cinematografico il suo nome è rintracciabile in diversi film, come Far and Away, Eyes Wide Shut, L’età dell’innocenza, Barcelona. Gibson, che ha debuttato in teatro con A Map of the World , lavoro andato in scena nel contesto del 'New York Shakespeare Festival', da oltre 10 anni calca le scene interpretando diversi spettacoli. Il suo ultimo ruolo per la tv è quello del detective Aron Hotchner, protagonista di Criminal Minds (2005), telefilm che debutta il 15 febbraio su FoxCrime.

Che tipo di telefilm è Criminal Minds?
La serie si ispira al lavoro di una vera sezione dell’FBI, quella di analisi comportamentale, per intenderci i personaggi che abbiamo potuto vedere nel film Il Silenzio degli innocenti. Sono agenti specializzati nell’analisi psicologica dei peggiori criminali, soprattutto serial killer.

La serie si avvale di consulenti?
Si ,abbiamo un consulente fisso, un ex agente dell’FBI che ha lavorato in diverse sezioni dell’agenzia. Poi, a seconda dei temi e degli episodi, abbiamo altri consulenti specifici, sempre dei professionisti del campo. Inoltre attingiamo ad un  manuale enorme che l’FBI ha compilato nel corso di 35 anni.

Criminal Minds ricorda un'altra serie, CSI: in cosa si differenzia da quest'ultima?
Il lavoro degli agenti di CSI si basa sulle prove concrete e sui fatti oggettivi, mentre il ‘nostro’ lavoro è tutto psicologico. Non lavoriamo sulle impronte ma sulla mente della gente. L’unica cosa logica a cui possiamo riferirci è la frequenza di ripetizione dei comportamenti, insomma la percentuale di comportamenti comuni a tutti i criminali. Poi, per il resto ogni caso è a se stante.

Che rapporto hanno gli agenti con i criminali di cui si devono occupare?
A volte c’è il rischio che il rapporto diventi troppo empatico; per conoscere una persona bisogna andargli molto vicino, forse troppo. E’ un lavoro molto pesante, che rischia di condizionare la vita privata. C’è un episodio, ad esempio, in cui un serial killer racconta ad un agente di avere subito abusi da bambino; l’agente mostra comprensione e quello gli risponde: ‘In realtà avrei potuto anche diventare quello che sei tu’. Insomma per capire la violenza bisogna conoscerla, o perché la si è studiata o perché la si è subita. Agenti e criminali sono vicinissimi gli uni agli altri, l’importante è che i primi sappiano riconoscere i confini del rapporto.

Chi è Aron Hotchner?
Un ex pubblico ministero diventato agente dell’FBI, un uomo che non riesce mai a smettere di pensare al lavoro. Sta per avere un figlio, con la moglie sta decidendo che nome dargli, ma ogni nome gli ricorda quello di un criminale e non riesce a decidere.

Le capita di essere identificato con il suo personaggio?
Capita sempre. Quando facevo il medico in Chicago Hope, c’erano amici che mi chiedevano consigli pensando che a forza di leggere sceneggiature avessi imparato a fare diagnosi.

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