Henry Chinaski è uno sbandato che vive di lavori precari. Ama bere, scommettere ai cavalli, rimorchiare donne e scrivere racconti che nessuno desidera pubblicare. Adattamento dell’omonimo romanzo di Charles Bukowski, “Factotum” di Bent Hamer è la storia di uno scrittore pronto a rischiare tutto pur di fare della sua vita una poesia. La parola a Matt Dillon, protagoinista del film.
Quando hai letto il tuo primo libro di Bukowski? E cosa ti affascina oggi di lui?
Dillon – Ho letto per la prima volta Bukowski quando avevo 20 anni. Sentivo i suoi racconti molto vicini al mio stile di vita. Non riuscivo a smettere di leggerlo, era come una droga. Con gli anni ho capito che non si trattava solo di letture giovanili. Perché Bukowski è uno scrittore serio, onesto. Uno scrittore che ha avuto il coraggio di esporsi. Di lui amo l’umorismo irriverente, il modo con cui parla delle sue donne, delle sue sbronze...Ha sempre cercato, con molta fatica, di ritrovare se stesso. E questo vale un po' anche per me, anche se io non sono uno scrittore.
Come è stato l’approccio al personaggio di Chinaski?
Dillon – Quando Bent mi ha proposto di interpretare questo ruolo ero molto preoccupato. Credevo che fisicamente non ce l’avrei mai fatta, ero troppo diverso dal vero Bukowski. Ma “Factotum” non è un film autobiografico. Certo, Henry Chinaski è una sorta di alter ego. Ma è filtrato dalle mie corde, dal mio modo d’intendere l’universo di Bukowski.
In che modo Linda Bukowski ti è stata di aiuto nella costruzione del personaggio?
Dillon – Io e Bent eravamo al Central Park. Stavamo parlando della sceneggiatura del film, quando ci è venuto in mente di chiamare Linda. Sono stato due al telefono con lei. E mi ha raccontato tante cose della vita quotidiana del suo ex marito. Ad esempio, che Bukowski non era affatto sporco. Pur bevendo molto, ci teneva ad esser sempre pulito e ben ordinato. Che era molto timido. E che non era così misogino come voleva far credere...
Credi ci sia un parallelismo fra il mestiere dell’attore e quello dello scrittore?
Dillon – Per certi aspetti i due mestieri potrebbero assomigliarsi. Ma nella pratica ci sono parecchie differenze. La carriera di un attore è fatta di molte attese. E il suo compito è quello di facilitare il lavoro del regista, andandogli incontro. Nel caso di “Factotum”, devo ammettere che Bent ha avuto le idee chiare fin dall’inizio. E subito siamo andati d’accordo.
Tu hai lavorato sia in pellicole ad alto budget che in film indipendenti. Quali differenze hai notato?
Dillon – La differenza non riguarda mai il costo del film. Perché se un film è brutto, lo è indipendentemente da quanto è costato. A parte qualche piccola difficoltà pratica, direi che per noi attori lavorare per un regista indipendente sia molto stimolante. Perché ti offrono la possibilità di giocare su altre corde, su personaggi difficili e magari molto lontani dal tuo modo d’essere.


NOTIZIE
Genio e sregolatezza
All'anteprima romana di "Factotum" di Bent Hamer, abbiamo incontrato Matt Dillon, alter ego di Charles Bukowski

12.04.2007 - Autore: Eva Gaudenzi