Il Sundance Film Festival ha visto l'anteprima di un atteso film di spionaggio, A Most Wanted Man, e le prime recensioni lo salvano, pur non essendo troppo lusinghiere. A giudicare dai commenti dei critici, il film diretto da Anton Corbijn (The American) e tratto dal romanzo Yssa il buono di John le Carré, è perfetto per chi ha già apprezzato La talpa di Tomas Alfredson, ma potrebbe scontentare chi non ha famigliarità con l'understatement di le Carré e la sua visione ben poco sexy o eccitante del mestiere di spia.
“Smorzato e controllato fino al punto da compromettere i potenziali incassi, questo complesso thriller ambientato nella comunità degli immigrati mediorientali di Amburgo catturerà l'attenzione di quella parte di pubblico che non ha bisogno di farsi spiegare tutto per filo e per segno – scrive Todd McCarthy su The Hollywood Reporter – ma gli spettatori capitati per caso potrebbero lasciare la sala in preda allo sbigottimento”. McCarthy loda “i sobri grigi di Amburgo e Berlino”, così come catturati dal direttore della fotografia Benoit Delholmme, osservando come il film renda alla perfezione “il quieto lavoro di osservazione che i personaggi di le Carré spesso fanno e l'esperto, pacato stile di recitazione che lo segue”.
A dominare la scena è Philip Seymour Hoffman, nei panni della spia tedesca Gunther Bachmann, alle costole del ceceno Issa Karpov (Grigoriy Dobrygin), che giunge ad Amburgo per reclamare l'eredità di suo padre, un ex ufficiale russo, contenuta in una cassetta di sicurezza della banca di Thomas Brue (Willem Dafoe). Ad aiutare Issa c'è un avvocato specializzato in diritti umani (Rachel McAdams). Ma l'uomo potrebbe nascondere un segreto, ed essere in combutta con un leader musulmano locale, dedito al terrorismo internazionale.
Hoffman, sempre secondo l'Hollywood Reporter, “domina un campo di gioco dove tutto è relativo. Né la McAdams, né Dafoe sono altrettanto convincenti nel ruolo di tedeschi quanto lo è Hoffman”, che azzecca un ottimo accento tedesco. Su questo punto, le recensioni vanno tutte d'accordo: “Philip Seymour Hoffman è l'evento principale – scrive Kate Erbland di Film.com – e nonostante alcuni problemi causati dal suo accento essenzialmente indeterminato, ci regala ancora una solida e coinvolgente performance”. Il problema sta nel lavoro del resto del cast: “L'accento tedesco della McAdams è tristemente scadente”, mentre “altri grandi nomi come Willem Dafoe, Robin Wright e Daniel Bruhl sono limitati a ruoli di contorno che danno loro poco da fare”. In particolare, tutti si lamentano del ruolo di Bruhl, che si limita ad apparire sullo sfondo e praticamente non ha dialoghi.
Xan Brooks di The Guardian definisce A Most Wanted Man “un film talmente maestoso e ben strutturato da risentirne” e “una professionale pellicola di spionaggio vecchia scuola, intricata come una bomba a orologeria e recitata con gusto dal sempre ottimo Hoffman”, che però resta “un film stranamente anonimo per un regista così talentuoso e peculiare”. “Questo mondo lo abbiamo già visto prima, ad esempio nel recente, brillante adattamento de La talpa di Tomas Alfredson”. Abbastanza d'accordo Chris Bumbray di JoBlo: “per essere un adattamento di le Carré, A Most Wanted Man è abbastanza legnoso, anche se la regia di Anton Corbijn è elegante”. “Hoffman praticamente salva il film – prosegue Bumbray – che spesso si muove a passo di lumaca e risulta fin troppo famigliare e prevedibile”.
Dunque, un Hoffman enorme, capace di catturare da solo l'attenzione e migliorare il film. Ma l'attore non sembra essere l'unico pregio del film: il finale fa guadagnare diversi punti all'opera, almeno è quanto afferma la Erbland: “L'atto finale può anche non sorprendere o meravigliare, ma contiene alcuni classici passaggi alla le Carré, la fluidità tipica di Corbijn e un Hoffman terrificante che grida verso il cielo – non male per l'ennesimo film di spionaggio”.
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Sundance: le Carré torna al cinema con A Most Wanted Man
La critica si divide sul film, ma loda Philip Seymour Hoffman
20.01.2014 - Autore: Marco Triolo