È stata una delle attrici più iconiche degli anni '80. Dopo un esordio, da poco più che comparsa, in Io e Annie di Woody Allen, a Sigourney Weaver bastano due ruoli per raggiungere questo status: quello di Ellen Ripley nella saga di Alien e quello di Dana Barrett in Ghostbusters. Eppure non sono le uniche due parti da lei interpretate ad aver lasciato il segno in quegli anni: dopo Alien recita accanto a Mel Gibson in Un anno vissuto pericolosamente, a cui fanno seguito Gorilla nella nebbia e Una donna in carriera.
Questi ultimi due, insieme ad Aliens – Scontro finale, l'hanno portata a competere agli Oscar. Addirittura Gorilla nella nebbia e Una donna in carriera nello stesso anno, il 1989, come attrice protagonista e non protagonista. Una delle poche star di Hollywood – la lista comprende anche Al Pacino, Julianne Moore e Cate Blanchett – a potersene vantare. Con Aliens – Scontro finale, Sigourney Weaver è anche una delle poche star a essere state nominate all'Oscar per un ruolo in un film horror.
Questo per dire quanto il personaggio di Ripley avesse colpito nel segno, influenzando a destra e manca il cinema di intrattenimento. Ben più di una final girl, Ripley era diventata il simbolo della donna forte e indipendente, una vera icona femminile. Che andava di pari passo con l'immagine coltivata dalla sua interprete.
Un'immagine che Sigourney Weaver avrebbe portato avanti anche negli anni '90, recitando in commedie romantiche (Dave – Presidente per un giorno), thriller (Copycat) e film d'autore diretti da grandi registi come Roman Polanski (La morte e la fanciulla) e Ang Lee (Tempesta di ghiaccio). Il ruolo di Ripley l'avrebbe accompagnata attraverso una carriera variegata: Weaver lo ha ripreso anche in Alien 3 e Alien – La clonazione. Portando a compimento, in quest'ultimo, la sua immedesimazione letterale nella saga iniziata da Ridley Scott e arrivando addirittura a fondersi geneticamente con i suoi rivali Xenomorfi.
Il decennio '90 si chiude per lei con la divertente parodia di Star Trek Galaxy Quest, dove inizia a sfruttare il suo status di icona della fantascienza al di fuori della saga di Alien. Il decennio successivo lo apre invece dimostrando, a 50 anni, di essere ancora una delle donne più sensuali al mondo nella commedia Heartbreakers – Vizio di famiglia. Nel 2004 torna all'horror d'autore in The Village di M. Night Shyamalan.
Gli ultimi dieci anni della sua carriera sono stati segnati da diversi ruoli in cui, come nel caso di Galaxy Quest, si appoggia alla sua fama di eroina di fantascienza. In Avatar torna a lavorare con il regista di Aliens, James Cameron. In Paul e Quella casa nel bosco appare in cameo di prestigio: basta la sua presenza, il suo metro e 82 di altezza e il consumato carisma per incutere timore reverenziale. In Humandroid lavora con Neill Blomkamp, regista di District 9, e per un attimo sembra che i due si riuniranno per un nuovo sequel di Alien, anzi di Aliens, poi purtroppo cancellato.
Dopo una breve avventura televisiva nella serie Marvel/Netflix The Defenders, Sigourney Weaver è pronta a riprendere due suoi ruoli celebri. Da una parte quello di Dana Barrett nell'atteso Ghostbusters 2020, diretto dal figlio di Ivan Reitman, Jason. Dall'altra quello della dottoressa Grace Augustine nei sequel di Avatar.
L'8 ottobre prossimo, Sigourney Weaver compirà 70 anni. Alle spalle, e davanti a lei, una carriera tra le più solide di Hollywood, portata avanti con determinazione e senza capricci da star. Dal 1984 è sposata con la stessa persona, il regista teatrale Jim Simpson. Non attira l'attenzione dei tabloid. Lavora e basta, e forse per questo l'Academy non l'ha mai premiata. Perché è una forza silenziosa, colonna portante della migliore Hollywood possibile.