Negli ultimi anni, Sylvester Stallone è riuscito con successo a ricostruirsi una carriera, rilanciando gli eroi che lo avevano reso un'icona negli anni '70 e '80. Prima Rocky, che ha riportato in vita nell'ottimo Rocky Balboa e interpretato nuovamente nei due Creed (e che forse tornerà ancora una volta). E poi Rambo: il quarto capitolo della saga, John Rambo, era stato uno schiaffo in piena faccia, un'overdose di violenza che conteneva però, come sempre sotto traccia, la mai banale analisi psicologica di un reduce terribilmente segnato dalle sue mille battaglie. Il film, per il resto, era puro escapismo, ma sotto sotto batteva un cuore sincero.
Com'è, invece, questo Rambo: Last Blood? Molti se lo stanno chiedendo. John Rambo chiudeva già la saga in maniera abbastanza appropriata, riportando l'eroe a casa, in Arizona, alla fattoria paterna. La seconda domanda che assilla i fan è: c'era davvero bisogno di un altro film? La riposta che chi ama Stallone si dà: se lo ha fatto, vuol dire che sì, ce n'era bisogno.
Nella nostra recensione, lo abbiamo definito “Un guilty pleasure impenitente, contro il sistema, la criminalità e le convenzioni”. La stampa americana e inglese, ahinoi, è meno lusinghiera.
“Questa prostata gonfia di film potrà farvi sussultare solo per la sua ultraviolenza gerontologica mal recitata, le sue fantasie trumpiane su violentatori messicani e su un confine americano ridicolmente malsicuro, e il suo rozzo entusiasmo per gli attacchi rape-revenge intrapresi da un signore anziano ancora in forma, un ragazzo di 73 anni, per conto di una dolce adolescente”, scrive senza pietà Peter Bradshaw di The Guardian.
Le premesse, insomma, non sono delle migliori. E soprattutto potrebbero far infuriare il pubblico messicano, in un momento storico già abbastanza teso su quel fronte. “Il Messico è un Paese nordamericano per oltre un milione di chilometri quadrati”, scrive Glenn Kenny del New York Times. “Nella realtà di Rambo: Last Blood, con Sylvester Stallone nel ruolo della vendicativa macchina di morte, il Messico è un pessimo quartiere a circa quaranta minuti di auto dal pacifico ranch in Arizona dove il nostro eroe, se dobbiamo fidarci del titolo, combatterà la sua ultima battaglia”.
Il problema, però, al di là del razzismo, sembrano essere uno script e una realizzazione generici, che non ottengono l'effetto sperato, ovvero regalare a Rambo un'ultima avventura degna di questo nome. “La sceneggiatura, scritta da Stallone e Matthew Cirulnick, pare abbozzata e generica, più simile al pilot di una serie TV su Rambo che a un commiato adeguato”, scrive Frank Scheck di The Hollywood Reporter. “L'ispettore Callaghan ha ottenuto un congedo più dignitoso in Scommessa con la morte, e quel film includeva un inseguimento con un'auto giocattolo”.
“Rambo: Last Blood è pieno zeppo di narrazione superflua, monologhi risibili, sviluppi di trama troppo comodi (Paz Vega interpreta una giornalista il cui solo scopo è mantenere Rambo sui binari della sua indagine), una regia action di routine (martellata dalla colonna sonora onnipresente di Brian Tyler) e un'attitudine caricaturale e xenofoba verso i Messicani (sembra un film progettato per gli elettori di Trump)”, scrive Ian Freer di Empire. “Ci si diverte come un tempo a vedere Rambo che attira i cattivi nella sua fattoria piena di trabocchetti, quasi fosse un Mamma ho perso l'aereo vietato ai minori di 18 anni. Ma arrivati a questo punto, ve ne fregherà a malapena”.
In conclusione: “Se andrete al cinema in cerca di meditazione, tragedia, carattere, intelligenza e riflessioni politiche sugli effetti della guerra – in breve, se andrete in cerca di quello che si trovava nel Rambo originale – allora forse potreste cercare conforto in un altro cinema. O magari a casa, il più lontano possibile da Last Blood”, sentenzia Witney Seibold di IGN.
Rambo: Last Blood arriverà nelle sale il 26 settembre, distribuito da Notorious Pictures.