
La storia riprende la più classica parabola americana dell'uomo che mette in discussione il proprio lavoro per ritrovare se stesso, un codice morale e soprattutto il rapporto con la terra e la natura, inevitabilmente simboleggiato dal paesello di agricoltori nella provincia americana. Schemi risaputi e stravisti nel cinema d'Oltreoceano e purtroppo Damon, Krasinski e Van Sant non riescono a nasconderlo troppo bene con particolari guizzi narrativi. Con questo non vogliamo dire che Promised Land sia da buttare: ha un intento pedagogico importante ed è raccontato con un certo mestiere, ma si perde, appunto, nella pedagogia, nell'impegno e nella denuncia, trascurando il fatto che un film ha bisogno di ben altro per convincere.
La cosa migliore di Promised Land è il suo successo nel descrivere, almeno per i primi due atti, il lavoro di Steve Butler (Damon) e Sue Thomason (Frances McDormand), due impiegati di una compagnia di estrazione del gas naturale giunti a Vattelapesca, Pennsylvania per convincere gli abitanti a vendere i diritti di estrazione dalle loro proprietà. Gli agricoltori sono inizialmente entusiasti, ma c'è un piccolo problema: il gas naturale sarà pure una risorsa pulita, ma l'estrazione causa spesso avvelenamento del terreno e delle falde acquifere, portando alla morte dei raccolti e del bestiame. Eppure, nonostante lavorino per una “malvagia” multinazionale, i due protagonisti non sono mai descritti come degli esseri biechi ma come dei semplici impiegati che fanno il loro lavoro. Sue ha un figlio da mantenere e vuole sbrigare in fretta l'affare per tornare da lui, Steven viene da un paesino rurale e quindi è ben consapevole dei problemi economici di una comunità così piccola. Interessante anche il confronto tra Steven e Dustin Noble (Krasinski), attivista per l'ambiente che ingaggia con il duo una lotta a suon di volantini e colpi bassi.

Il film si accartoccia però su se stesso quando tenta maldestramente di introdurre una storia d'amore tra Steven e un'insegnante locale e tra Sue e un commerciante. C'è di fondo una morale facilona – i veri valori americani stanno nella provincia, lontano dalla Babele delle città – che non aiuta a ingerire la pillola. Eppure, verso il finale, qualcosa si riaccende e un colpo di scena inaspettato riesce a dare un discreto senso di chiusura al tutto. Peccato per quel dopo-finale consolatorio e assolutamente fuori luogo. Gus lo preferiamo certamente nella sua veste più sperimentale e indipendente.
Promised Land è distribuito in Italia da BIM. Qui la nostra intervista a Gus Van Sant.