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PAURA E DELIRIO A LOS ANGELES
Tutti i pro e i contro di una serata che, prevedibilmente, dimenticheremo facilmente

26.03.2001 - Autore: Fabrizio Marchetti
Oscar maniaci di tutto il mondo riunitevi e leggete. Quelle che seguiranno sono le elucubrazioni mentali di un gruppo di redattori confinati in una stanza adibita a bar di quarta categoria, tra carta straccia, caffè riversato e mozziconi di sigarette sparpagliati dappertutto. Tra una flebo e laltra siamo riusciti a trovare un minimo di concentrazione per analizzare quella che è stata la 73° edizione degli Academy Awards. La sorpresa è che siamo riusciti effettivamente a buttare giù qualche riga; la brutta notizia è che forse era meglio rimanere nel torpore paranoico di chi non può e non deve abbandonarsi alle accoglienti braccia di Morfeo. Come da consolidata tradizione, il commento di una così prestigiosa manifestazione non poteva emanciparsi dalla consueta classifica degli aspetti pro e contro della diretta. E che diretta! Basti pensare alle allegre performance della coppia Olcese e Margiotta in Romolo contro Tao. La domanda che in un baleno che ci è balenata in testa è stata: stiamo ancora farneticando col cervello o veramente quelli di Tele+ hanno avuto il coraggio di affidarsi a quei due per inframezzare le opinioni cinematografiche di Altafini? Schiaffi, pizzicotti ed intere cascate dacqua gelata riversate sulle nostre teste ci hanno purtroppo convinti che le atrocità viste e soprattutto udite corrispondevano ad una tapina realtà. Ci siamo allora attrezzati per il peggio che puntualmente è arrivato con la voce del traduttore italiano. In un attimo siamo stati travolti da uninquietudine terrificante: perché alle battute di Steve Martin tutti i presenti in sala ridevano a crepapelle e noi, invece, assuefatti dalla calda versione italiana non riuscivamo a capirne il dannato motivo? Unidea ce la siamo fatta ma, per questioni di correttezza deontologica,
preferiamo tenerla per noi. Del resto, a buoni inteditor poche parole...
Proseguendo nella carrellata degli orrori della nottata, una posizione di rilievo lha avuta Dino De Laurentis col suo intramontabile inglese della filippina, messo in mostra con scioltezza e spavalderia. Come ha giustamente ricordato il presentatore di Tele+ , solo Villaggio in Io no spik inglish aveva fatto di peggio. Che dire poi delle sfilate di moda inscenate dagli ospiti della serata? Ci limitiamo a registrare solo il pessimo gusto del loro abbigliamento, a metà strada tra il kitch ricercato e il cattivo gusto involontariamente sfoggiato. A concludere la nostra top five delle negatività doveva essere qualcosa di speciale o qualcosa che riguardasse un personaggio particolarmente importante. Ecco perchè la nostra scelta è ricaduta su Ridley Scott, reo di non aver deliziato il pubblico neppure con uno straccio di sorriso. Cosa avesse veramente, nessuno lo sa e forse nessuno lo vuole sapere. Certo è che un minimo accenno di allegria non avrebbe sicuramente guastato...
Ad una hit parade che finisce corrisponde una hit che inizia e, impossibile ma vero, siamo stati in grado anche di stilarne una contenente qualche nota lieta. Anzitutto, abbiamo avuto il piacere di constatare tutta la simpatia di Steve Martin. Un uomo, un divo, un mito, una sorta di pseudo-presentatore improvvisato ma efficacissimo nelle sue tempestive freddure. Ad aggiudicarsi la seconda posizione è stata invece la bravissima Bjork, nonostante il suo insolito travestimento da struzzo.
Ma la star di Dancer in the dark non è stata lunica presenza anomala della serata: un altro insolito divo ha risposto al nome di Bob Dylan. Simbolo un tempo della controcultura americana, poi menestrello incostante ma sempre intenso e interessante, ha finito per ricevere un Oscar, massima espressione commerciale dellestabilishment cultural-commerciale del suo paese. Lo ha accettato da lontano, dallAustralia, dove si trova in tour, con lespressione triste e saggia di uno che le ha viste tutte, e sa trarre il meglio anche dalle contraddizioni della vita.
Piacevole sorpresa fra i premi la vittoria di Almost famous per la migliore sceneggiatura originale, storia fresca e appassionante sulle prime esperienze giornalistiche nel mondo del rock di un giovane critico del Rolling Stone.
Dulcis in fundo la delirante attitudine alla pronuncia dei nomi inglesi del presentatore David Grieco, quanto meno ostinato nel chiamare il film di Steven Soderbergh Erin Broscovich contro ogni ragionevolezza e soprattutto dopo che una sostanziosa quantità di persone lo aveva pronunciato nel modo corretto.
Sperando di avervi deliziato con queste svagate osservazioni, anche noi, esausti, ripieghiamo verso le fresche, morbide e a lungo agognate lenzuola, dandovi appuntamento allanno prossimo.