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Mio fratello è figlio unico

In concorso al prossimo Festival di Cannes, nella sezione 'Un certain regard', arriva nelle sale il nuovo film di Daniele Lucchetti con Riccardo Scamarcio ed Elio Germano

Mio fratello è figlio unico

18.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
  C’è un personaggio, Accio.
Quando lo incontriamo per la prima volta è il 1962, a Latina. E’ un adolescente che ha scelto il seminario, ma lo abbandonerà ben presto perché non gli basta. Accio ha il fuoco dentro, ha bisogno di agire per sentirsi vivo, anzi per sentirsi accettato. Il solo modo che conosce per comunicare - e per amare - è lo scontro: lo capiamo soprattutto dal rapporto con suo fratello Manrico, che per lui è insieme nemico e modello. Accio sembra avercela con la sua famiglia, col mondo intero, e cerca un’ideologia che possa adattarsi alla sua necessità di vivere. Allora diventa fascista, poi comunista, ma lo stesso non gli basta. Lui vuole battersi per il gruppo a cui sente di appartenere, e cioè quello degli ultimi… 




C’è un attore, Elio Germano.
E’ ancora giovane, perciò lo guardi mentre scalpita, e già lo ammiri. La sua  recitazione è fatta ancora principalmente d’istinto, e nei film in cui trova un personaggio che gli si adatta sa trasmetterti la febbre che lo prende. E’ già abbastanza forte da riuscire a tenerti inchiodato davanti allo schermo. Spesso gli basta uno sguardo, un cenno del capo, magari una sola parola, e tu riesci ad intravedere tutto il mondo che sta dietro a quel personaggio, e magari anche dietro all’attore.          




C’è un regista, Daniele Luchetti.
In passato ci ha raccontato l’Italia del presente – “Il portaborse” (id., 1990), “Arriva la bufera” (id., 1992), “La scuola” (id., 1995) – attraverso l’occhio deformante della sferzata ironica, a volte anche grottesca. Adesso ha scelto di raccontarci l’Italia del passato in maniera lucida, precisa, quasi tagliente. Come riferimento specifico ha scelto di stare dietro al suo personaggio, ed al suo attore: ecco quindi molta macchina a mano che segue, anticipa, accompagna Accio/Elio e le persone che lo circondano, primo tra tutti suo fratello. Difficile trovare una scelta stilistica che meglio potesse adattarsi al testo, alla storia, alle persone che il film racconta.



C’è un film, “Mio fratello è figlio unico”.
Parla di una vicenda semplice nella sua costruzione, ma molto complessa ed articolata nei sottotesti. E’ un film di personaggi soprattutto: più che sussurrarle sottovoce, ha il coraggio di urlare le cose che ha da dire. Tra le sue scene scorre il sangue di chi parla con sincerità, anche quando sbaglia a parlare. A tratti è un film quasi rabbioso, che segue con coerenza il suo protagonista.




C’è un pubblico.
Che deve abituarsi a vedere questo tipo di cinema italiano, che deve avere il coraggio di esigere storie sempre più articolate, interessanti, corpose come questa. Un pubblico che deve fare in modo che opere come “Mio fratello è figlio unico” diventino la routine, il prodotto medio – nel senso assolutamente positivo del termine - della nostra industria cinematografica. Una volta ottenuto questo, il resto probabilmente arriverà da sé. O almeno così spera chi sta scrivendo.



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