
L'attore di cui parlavamo poc'anzi è Mads Mikkelsen. Sembra banale usare un aggettivo come “intenso”, ma è proprio quello che viene in mente vedendo l'impeccabile performance del danese, miglior attore a Cannes, che cattura lo sguardo ogni qual volta è al centro del quadro, abbattuto, sanguinante eppure insospettabilmente vitale. Mikkelsen è il cuore di un film che altrimenti non si reggerebbe, purtroppo, sulle sue gambe.
Vinterberg gira tutto in autunno e inverno, avvolgendo il film in un'atmosfera di gelida sofferenza interiore che si riflette nel giallo delle foglie. E pone a confronto il pudore spesso ipocrita di una comunità che condanna un uomo senza pensarci due volte, ma allo stesso tempo vive ancora appoggiandosi a usanze barbare e violente come il rito di passaggio all'età adulta che coinvolge i giovani in una battuta di caccia al cervo. Le scene di caccia, disseminate per tutta la pellicola, fanno da parallelo alle vicende di Lucas, a sua volta braccato come un animale. Non a caso il titolo originale, Jagten, vuol dire proprio “caccia”. Che ha senso, a differenza di quello italiano: non c'è mai alcun “sospetto” nel film, né da parte del pubblico, consapevole senza dubbio dell'innocenza di Lucas, né degli altri personaggi, che sono sicuri della sua colpevolezza.

Il problema del film sta nella sua natura spesso ricattatoria: Vinterberg ne fa passare di tutti i colori al suo protagonista, picchiato, brutalizzato e perseguitato. Inoltre, il primo atto in cui Lucas, semi-depresso per un divorzio e il licenziamento, sembra riprendersi quando trova l'amore e ottiene la custodia del figlio adolescente, pare fatto apposta per far risaltare ancora di più la tragedia umana a seguire. Troppo facile: un po' più di rigore nella sceneggiatura – che spesso scade in dialoghi superficiali come le psicologie dei personaggi – avrebbe aiutato certamente a digerire meglio la zuppa.
Il sospetto è distribuito in Italia da BIM. Qui ne potete vedere il trailer.