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Il filiforme fascino dell'androgino

Non ha i muscoli di Brad Pitt né la torva virilità di Colin Farrell, ma Jonathan Rhis Myer sta divenendo nuovo oggetto del desiderio per le donne del pianeta. Tra ambiguità sessuale e bellezza diafana, l'attore si prepara ad una stagione di successi annunciati

Jonathan Rhys Meyers

23.07.2007 - Autore: Gabriele Marcello
Se  si va un po’ in giro e si presta l’orecchio alle chiacchiere femminili, sicuramente ci sono sorprese particolari che vengono fuori circa i nuovi oggetti del desiderio.  Il Martini che ti offre George Clooney  è il drink che  l’80% della popolazione femminile vivente sull’emisfero terrestre  desidera bere, non dai bordi del cristallo concavo ma dalle labbra del attempato attore. Sarà il fascino del brizzolato o lo sguardo da canaglia, rassicurante ed eccitante, ma Clooney piace da matti perché è il mix perfetto tra galanteria e follia. Occhi bassi  e intensi, volto segnato dalle rughe e fascino magnetico, Clive Owen attira ammiratrici come le mosche sul miele ed è difficile non pensare all’essenza di una nuova sessualità, maschia e iponente, quando scorrono le immagini di Closer, film fondamentale  e complesso.

Ma tra l’eleganza di Clooney e la “bassa manovalanza” di Owen serpeggia la nuova voglia di ambiguo e indefinito, forse molto “femminile”, che è incarnata da Jonathan Rhys Meyer. Bello ma femineo, con gli angoli della bocca appuntiti, lo sguardo da angelo caduto dal cielo e quella figura  talmente indefinita che   stenta a trovare una collocazione (etero o omo) tra i divi di oggi.

Jonathan nasce nel 1974 in Irlanda e, come nella migliore tradizione dei romanzi d’appendice, il bimbo è affetto da svariati problemi cardiaci che richiedono cure continue. Dopo il trasferimento a Cork, il padre (sempre nel solco delle disgrazie da melodramma infuocato) decide di abbandonare la moglie e i suoi figli (Jamie, Alan e Paul) e la madre inizia con molti  sacrifici a tirare avanti la baracca. Il giovane Jonathan cresce selvaggio e indolente, saltando da un istituto all’altro, venendo perfino espulso dalla scuola a soli 16 anni. Le giornate passavano  tra pinte di birra e giocate a biliardo, fino a quando, nel 1993, viene notato da un agente che rimane colpito di questo ragazzo bello e, soprattutto, androgino. Inizia a fare i primi provini e viene scritturato per una pubblicità delle minestre Knorr che lo rende un viso popolare in Gran Bretagna.

Il cinema si accorge di lui e iniziano a fioccare le prime partecipazioni : Un uomo senza importanza, diretto da Suri Krishnamma e interpretato da Albert Finney, è il suo trampolino di lancio. Johnny (così chiamato in famiglia) interpreta un conducente di autobus. Nel 1996 arriva un ruolo importante: è il sicario che uccide l’eroe dell’indipendenza irlandese in Michael Collins di Neil Jordan. Sebbene vessato da svariate critiche, il film ottiene il Leone d’oro al festival del Cinema di Venezia e per Johnny inizia una fase di totale ascesa.

Dopo la coproduzione La lengua asesina  e The disappearence of Finbar (le riprese in Lapponia si interruppero due volte a causa del freddo), l’attore partecipa al controverso B-Monkey di Michael Radford con Asia Argento, nel ruolo di un giovane bisessuale.

Il pasticciaccio del regista de Il Postino non è ricordato da nessuno ma il ruolo serve a Johnny come preparazione a film ben più importanti. In La Governante di Sara Goldbacher  interpreta un giovane ragazzo con problemi di identità e si mostra per la gioia dei suoi ammiratori in un nudo integrale abbastanza lungo (con le pudenda al vento, oltre a lui, c ‘è anche Tom Wilkinson).

Nel 1998 arriva “il ruolo” in Velvet Goldmine di Todd Hayens. Con una linea marcata di eyliner sugli occhi, che nemmeno Mina dei tempi d’oro avrebbe sfoderato, il giovane si cala perfettamente nei panni di un cantante Glam Rock nella Londra degli anni 70, un incrocio perfetto tra David Bowie e Freddy Mercury. Paillets, lustrini e piume (costumi disegnati da Sandy Powel) garantiscono la diretta acquisizione di questa favola gay nell’immaginario collettivo, in cui da antologia sono i pezzi cantati e ballati: una meraviglia per gli occhi. 

Dopo il dimenticabile western di Ang Lee,Cavalcando con il diavolo, Johnny prende parte alla commedia interraziale e al sapore di curry “Sognando Beckam”, dove interpreta un allenatore per ragazzini. Dopo svariate fiction targate BBC, una regista indiana lo vuole per una gustosa trasposizione: la regista è Mira Nair, il film è La fiera delle Vanità. Bei costumi, bei paesaggi e noia a profusione sono il lasciapassare del giovane attore verso le prove più mature, come Elvis, biopic sul grande cantante Elvis Presley (l’interpretazione gli vale il Golden Globe), e Match Point di Woody Allen.

Il film del più nevrotico dei registi è una passerella verso la conoscenza mondiale davvero notevole. Johnny si tramuta in un giovane “Idiota”dostowjeskiano dal grande fascino e dalla spiccata crudeltà, che infrange i cuori di molte donne e si macchia di omicidio  salvandosi in corner. Bel film e ottima prova per un attore la cui fisicità  esile e diafana non è di grande aiuto.

A consolidare la fama arriva il peggiore capitolo di Mission Impossible III, dove il ruolo è quello del cattivo, e una serie televisiva importante, I Tudor ( presto anche in Italia) dove incarna l’imponente Enrico VIII, con grazia e giovanilismo. In attesa di nuove parti (ambigue?) non ci resta che salutare questo nuovo divo e il suo fascino femminile, segno di tempi che cambiano e di nuovi gusti particolari.
FILM E PERSONE