Se si va un po’ in giro e si presta l’orecchio
alle chiacchiere femminili, sicuramente ci sono sorprese particolari che
vengono fuori circa i nuovi oggetti del desiderio. Il Martini che ti offre George Clooney è il drink che l’80%
della popolazione femminile vivente sull’emisfero terrestre desidera bere, non dai bordi del cristallo
concavo ma dalle labbra del attempato attore. Sarà il fascino del brizzolato o
lo sguardo da canaglia, rassicurante ed eccitante, ma Clooney piace da matti
perché è il mix perfetto tra galanteria e follia. Occhi bassi e intensi, volto segnato dalle rughe e
fascino magnetico, Clive Owen attira ammiratrici come le mosche sul miele ed è
difficile non pensare all’essenza di una nuova sessualità, maschia e iponente,
quando scorrono le immagini di Closer, film fondamentale e complesso.
Ma tra l’eleganza di Clooney e
la “bassa manovalanza” di Owen serpeggia la nuova voglia di ambiguo e indefinito,
forse molto “femminile”, che è incarnata da Jonathan Rhys Meyer. Bello ma
femineo, con gli angoli della bocca appuntiti, lo sguardo da angelo caduto dal
cielo e quella figura talmente
indefinita che stenta a trovare una
collocazione (etero o omo) tra i divi di oggi.
Jonathan nasce nel 1974 in Irlanda e, come nella migliore tradizione dei romanzi d’appendice, il bimbo è
affetto da svariati problemi cardiaci che richiedono cure continue. Dopo il
trasferimento a Cork, il padre (sempre nel solco delle disgrazie da melodramma
infuocato) decide di abbandonare la moglie e i suoi figli (Jamie, Alan e Paul) e la madre inizia con molti sacrifici a tirare avanti la baracca. Il
giovane Jonathan cresce selvaggio e indolente, saltando da un istituto
all’altro, venendo perfino espulso dalla scuola a soli 16 anni. Le giornate
passavano tra pinte di birra e giocate
a biliardo, fino a quando, nel 1993, viene notato da un agente che rimane
colpito di questo ragazzo bello e,
soprattutto, androgino. Inizia a fare i primi provini e viene scritturato per
una pubblicità delle minestre Knorr che lo rende un viso popolare in Gran
Bretagna.
Il cinema si accorge di lui e iniziano a fioccare le prime partecipazioni
: Un uomo senza importanza, diretto da Suri Krishnamma e interpretato da Albert
Finney, è il suo trampolino di lancio. Johnny (così chiamato in famiglia)
interpreta un conducente di autobus. Nel 1996 arriva un ruolo importante: è il
sicario che uccide l’eroe dell’indipendenza irlandese in Michael Collins di
Neil Jordan. Sebbene vessato da svariate critiche, il film ottiene il Leone
d’oro al festival del Cinema di Venezia e per Johnny inizia una fase di totale
ascesa.
Dopo la coproduzione La lengua asesina
e The disappearence of Finbar (le riprese in Lapponia si interruppero
due volte a causa del freddo), l’attore partecipa al controverso B-Monkey di
Michael Radford con Asia Argento, nel ruolo di
un giovane bisessuale.
Il pasticciaccio del regista de Il Postino non è
ricordato da nessuno ma il ruolo serve a Johnny come preparazione a film ben
più importanti. In La Governante di Sara Goldbacher interpreta un giovane ragazzo con problemi di identità e si
mostra per la gioia dei suoi ammiratori in un nudo integrale abbastanza lungo (con le pudenda al vento, oltre a lui, c ‘è anche Tom Wilkinson).
Nel 1998
arriva “il ruolo” in Velvet Goldmine di Todd Hayens. Con una linea marcata di
eyliner sugli occhi, che nemmeno Mina dei tempi d’oro avrebbe sfoderato, il
giovane si cala perfettamente nei panni di un cantante Glam Rock nella Londra
degli anni 70, un incrocio perfetto tra David Bowie e Freddy Mercury. Paillets,
lustrini e piume (costumi disegnati da Sandy Powel) garantiscono la diretta
acquisizione di questa favola gay nell’immaginario collettivo, in cui da
antologia sono i pezzi cantati e ballati: una meraviglia per gli occhi.
Dopo il dimenticabile western di Ang Lee,Cavalcando con il diavolo, Johnny prende parte alla commedia interraziale e al
sapore di curry “Sognando Beckam”, dove interpreta un allenatore per ragazzini.
Dopo svariate fiction targate BBC, una regista indiana lo vuole per una gustosa
trasposizione: la regista è Mira Nair, il film è La fiera delle Vanità. Bei
costumi, bei paesaggi e noia a profusione sono il lasciapassare del giovane
attore verso le prove più mature, come Elvis, biopic sul grande cantante Elvis
Presley (l’interpretazione gli vale il Golden Globe), e Match Point di Woody
Allen.
Il film del più nevrotico dei registi è una passerella verso la
conoscenza mondiale davvero notevole. Johnny si tramuta in un giovane
“Idiota”dostowjeskiano dal grande fascino e dalla spiccata crudeltà, che
infrange i cuori di molte donne e si macchia di omicidio salvandosi in corner. Bel film e ottima
prova per un attore la cui fisicità
esile e diafana non è di grande aiuto.
A consolidare la fama arriva il
peggiore capitolo di Mission Impossible III, dove il ruolo è quello del
cattivo, e una serie televisiva importante, I Tudor (
presto anche in Italia) dove incarna l’imponente Enrico VIII, con grazia e
giovanilismo. In attesa di nuove parti (ambigue?) non ci resta che salutare
questo nuovo divo e il suo fascino femminile, segno di tempi che cambiano e di
nuovi gusti particolari.


NOTIZIE
Il filiforme fascino dell'androgino
Non ha i muscoli di Brad Pitt né la torva virilità di Colin Farrell, ma Jonathan Rhis Myer sta divenendo nuovo oggetto del desiderio per le donne del pianeta. Tra ambiguità sessuale e bellezza diafana, l'attore si prepara ad una stagione di successi annunciati

23.07.2007 - Autore: Gabriele Marcello