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Enzo D'Alò...alla conquista del cinema

Dopo la presentazione a Venezia di "Momo alla conquista del tempo", Cartoni.it ha avuto il piacere d'intervistare il regista di questa promettente pellicola d'animazione: Enzo D'Alò.

Enzo D'alo

19.05.2009 - Autore: Francesca Fornario
Enzo D'Alò è un outsider. A tal punto che se fosse il personaggio di un cartone animato, dice, sarebbe Paperino, perché è sfortunato e maldestro, ma di buoni sentimenti. Talmente buoni che il regista di "Momo", come la sua giovane e coraggiosa eroina, sfida ostinatamente le regole dell'industria dello spettacolo. Come ad esempio quella che fa dipendere il valore di un cartone animato dal numero di disegni che sono occorsi per realizzarlo, e lo fa con idee incendiarie del genere: "quello che conta più di tutto nell'animazione è la qualità delle storie" o "rompiamo il muro di diffidenza degli adulti nei confronti dei cartoni". Affermazioni da far tremare il mercato dei gadget, in funzione del quale vengono ormai prodotti alcuni cartoni animati. Tutto questo, in un mercato ingessato e standardizzato com'è quello dell'animazione, si traduce in una benefica ventata di aria fresca. Per capire la portata rivoluzionaria del fenomeno D'Alò ci sono due sistemi. Il primo è quello di mettere a confronto un suo cartone animato con quello di una qualche megaproduzione americana; il secondo è quello di mettere a confronto una sua intervista con quella del regista di una qualche megaproduzione americana. Alla domanda "Come hai cominciato a fare cartoni animati?", il secondo risponderebbe con l'elenco delle scuole e delle università dove ha studiato. E tu?   Enzo D'Alò: "Ero musicista e facevo l'obiettore di coscienza a Torino, dove lavoravo con i bambini. E' nato tutto per gioco, volevo aiutarli a raccontare delle storie: loro disegnavano, io riprendevo i loro disegni con la cinepresa e li montavo con la mia musica. Era il 1979. Così ho cominciato a fare cartoni animati. Per questo sono sempre in difficoltà quando i giovani che vogliono avvicinarsi a questa professione mi chiedono da dove cominciare: certo non posso dire loro di tentare facendo gli obiettori di coscienza, ma con me ha funzionato...".   Si dice che per realizzare un cartone di successo servono soprattutto soldi e pubblicità. Tu dici che ci vuole passione. Sei sicuro?   E.D.: "Passione, sì. Perché la tendenza è quella di trasformare il cartoon in un'industria, con decine di animatori pagati un tanto a disegno, come avviene in Asia. Così facendo però la loro unica preoccupazione diventa fare quanti più disegni possibili e non prestare attenzione alla qualità. Io penso invece che più si lavora in una dimensione artigianale e più si possono fare prodotti artistici, con una squadra affiatata e tanta passione".   E per imparare il mestiere?   E.D.: "Bisogna andare a bottega, come facevano i pittori. A Parigi esiste anche una scuola per storybordisti, tuttavia il rischio è che i ragazzi imparino a lavorare in modo troppo standardizzato, e i risultati discutibili li vediamo in alcuni cartoni animati francesi che appaltano parte del lavoro all'Est, dove la mano d'opera costa meno. Per non parlare delle storie. Stereotipate anche quelle. E' così si uccide la creatività".
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