Il gioiellino
Una grande azienda agro-alimentare si è ramificata nei cinque continenti, è quotata in Borsa, è in continua espansione verso nuovi mercati e nuovi settori: quello che si dice un gioiellino. Il suo fondatore, Amanzio Rastelli, padre padrone dell'azienda, ha messo ai posti di comando i suoi parenti più stretti: il figlio, la nipote ed alcuni manager di provata fiducia - malgrado i loro studi si fermino al diploma in ragioneria. Un management inadeguato ad affrontare le sfide che pone il mercato. E infatti il gruppo s'indebita. Sempre di più. Non basta falsificare i bilanci, gonfiare le vendite, chiedere appoggio ai politici, accollare il rischio sui risparmiatori attraverso operazioni di finanza creativa sempre più ardite... La voragine diventa troppo grande e si prepara a inghiottire tutto.
Il crack finanziario della Parmalat raccontato dall'interno, attraverso
le vicende personali e pubbliche dei due protagonisti che quell'impero
finanziario lo costruirono su basi inconsistenti e quindi
successivamente sbriciolarono: Amanzio Rastelli/Callisto Tanzi (Remo Girone) e Ernesto Botta/ Fausto Tonna (Toni Servillo).
Un buon film nella stragrande maggioranza dei casi parte dalla sceneggiatura: si sicuro questo è il caso de “Il gioiellino”, seconda regia di Andrea Molaioli dopo il forse sopravvalutato “La ragazza del lago”. Il regista, che ha realizzato lo script insieme a Ludovica Rampoldi e Gabriele Romagnoli, riesce ad ottenere a livello narrativo il
notevole risultato di raccontare i suoi personaggi senza offrire al
pubblico un giudizio preconfezionato sulle loro rispettive psicologie e
azioni. E questo non perché la sceneggiatura voglia evitare di
darle oppure non vi riesce, ma piuttosto perché preferisce
intelligentemente costruire sull'ambiguità dei personaggi il suo punto
di forza. Quello che ne esce fuori è un film sfaccettato, sottile, enigmatico.
Molaioli poi dimostra di avere ben presente come vuole organizzare la
messa in scena, e sfrutta soprattutto le ottime scenografie di Alessandra Mura per raccontare un mondo arcaico, polveroso, che rappresenta il passato
immobile del nostro Paese e non riesce a stare in corsa con un'economia
internazionale che cambia pelle con troppa rapidità.
A livello puramente cinematografico “Il gioiellino” funziona a meraviglia, grazie anche alla fotografia sempre efficace di Luca Bigazzi e alle bellissime musiche di Teho Teardo. E poi ci sono i tre protagonisti, tutti capaci di prove assolutamente convincenti. Toni
Servillo si sbarazza dell'istrionismo che ha contraddistinto le sue
ultime prove cinematografiche e regala al suo Ernesto Botta una
compostezza stilizzata e malinconica, asciutta nei gesti ma
comunque capace di raccontare la vita interiore e la mente dilaniata del
ruolo. Accanto a lui un Remo Girone fisicamente aderente al personaggio
di Rastelli, capace per di più di dotarlo di un'ambiguità che fino alla
fine lascia sorprendentemente interdetti sulla sua reale natura, divisa
tra ingenuo imprenditore e truffatore senza scrupoli. A supporto dei
due protagonisti una brava Sarah Felberbaum, molto
efficace nel giocare con il non detto e con i mezzitoni di una figura
femminile finalmente non soltanto accessoria, ma la contrario delineata
con sottigliezza ed eleganza.
Ultimo esempio di un cinema di indagine civile sulle atrocità economiche
e sociali dell'Italia contemporanea, “Il gioiellino" è un film che
mescola con cura e coerenza la forma con il contenuto, assicurando agli
spettatori un prodotto molto più elevato rispetto a quello che offre
oggi la nostra industria cinematografica.