
Milla Jovovich e Robert Forster.
Film.it ne parla con il regista in occasione dell'uscita della pellicola.
Terrorismo, complotti e paranoia della cospirazione. Mi chiedo quanto sia difficile puntare su storie del genere al cinema quando in TV spopolano serie cult come Homeland...
Di solito queste storie seguono una tradizione precisa e puntano su una figura maschile da mettere in prima linea. Per me la priorità era raccontare una storia con un personaggio femminile come cuore pulsante del film. Adoro i thriller paranoici degli anni Settanta, titoli come Il maratoneta o Il giorno dello sciacallo, ho pensato di aggrapparmi a quei modelli e avere una donna travolta dagli eventi e inseguita da buoni e cattivi che vogliono toglierla di mezzo. Tutto quello che deve fare per sopravvivere e svolgere un'indagine personale per capire come sventare il prossimo attentato.
Dunque mi conferma che si tratta di un momento d'oro per le attrici del cinema mainstream?
Era inevitabile, no? La società è cambiata nel corso degli anni e sempre più donne svolgono lavori intellettuali. Questa cosa, a poco a poco, è stata percepita anche da chi fa cinema. Per quanto mi riguarda sono sempre stato interessato alle donne, perché sono più interessanti in termini narrativi. Lo ho dimostrato già dai tempi di V per vendetta in cui tutto quello che mi importava era mostrare la rivoluzione attraverso gli occhio del personaggio di Natalie Portman, vedendo come avrebbe reagito a situazioni estreme. Diciamo la verità, la prospettiva femminile è la più interessante: le donne capiscono di più di noi uomini e metterne una al centro della storia offre un'angolazione diversa, più intelligente e più emotiva.

Il regista James McTeigue sul set.
E' difficile trasformare Milla Jovovich da predatrice a preda? Fino a che punto il suo status di icona in Resident Evil può essere un nemico per la credibilità del film?
In realtà credo che in questo film sia un po' tutti e due. Nella parte che si svolge a Londra è la preda, poi la vediamo mettere insieme il puzzle e smascherare il complotto. Arrivata a New York ha piena consapevolezza di quello che sta succedendo. Eccola di nuovo predatrice: in Resident Evil è una supereroina tostissima, qui invece sono la sua intelligenza e la sua vulnerabilità le qualità principali del personaggio.
Dall'altra parte ecco un Pierce Brosnan spietato come mai prima. E soprattutto poco seducente, lo avete invecchiato per bene al trucco...
Ci siamo ispirati ai film degli anni Settanta, tutti quelli con grandissimi cattivi: I tre giorni del condor con Max Von Sydow, Il giorno dello sciacallo con Edward Fox, o pellicole più recenti come Nemico pubblico, uno dei più sottovalutati di Tony Scott in cui Jon Voight era il cattivo. Quei personaggi non parlano tanto, ma quando lo fanno sono veramente minacciosi. Pierce ha capito che avrebbe dovuto usare più le sue espressioni che le sue battute: tutto stava nel modo in cui muoveva gli occhi. Si è divertito parecchio, era entusiasta all'idea di interpretare un ruolo che non aveva mai fatto prima.

Pierce Brosnan in una scena.
Una curiosità, Survivor si apre con un attentato terroristico a Londra. Si tratta di una delle città più sorvegliate al mondo. Quanto la presenza di tutte quelle telecamere di sicurezza ha garantito la salvaguardia dei cittadini?
È interessante notare che sì, è vero, ci sono migliaia di telecamere dappertutto, ma chi guarda quei filmati? Impossibile dirlo. L'ambientazione londinese aumenta lo status di paranoia: siamo costantemente guardati e sorvegliati all'interno di una nazione specializzata nel governare mettendo paura. E la risposta è no: non credo che la tecnologia ci abbia resi più sicuri.
Survivor è distribuito nei cinema da M2 Pictures.