
Le ali della libertà compie 25 anni, ecco perché ci fa ancora piangere

Le ali della libertà compie 25 anni

Una coppia perfetta
Le ali della libertà è uno dei pochi film capaci di raccontare l'amicizia tra due uomini senza che questa coinvolga elementi sessuali, o di sfida. Non si parla di donne, non ci sono colpi da effettuare insieme o inseguimenti in auto. Solo un rapporto di reciproco rispetto e comprensione. Per questo, incredibilmente toccante.
Merito anche di due attori perfetti: l'alchimia tra Tim Robbins e Morgan Freeman è palpabile. E pensare che, se Rob Reiner avesse diretto il film come intendeva inizialmente, a interpretare i due avremmo potuto vedere Tom Cruise e Harrison Ford...

Il potere del cinema
Andy Dufresne fugge dal carcere di Shawshank passando attraverso un tunnel nascosto da un poster di Raquel Welch. Lui e Red assistono incantati a una proiezione di Gilda e, poco dopo, Andy si difende da un'aggressione utilizzando una "pizza". Il cinema ha un potere salvifico e di fuga per Frank Darabont. Un tocco cinefilo extra che infonde una lettura meta-cinematografica a Le ali della libertà.

Un piano a orologeria
Si diceva che i due protagonisti non fanno un colpo insieme. In effetti, il colpaccio di Andy è opera del solo Andy, ed è tenuto segreto persino all'amico Red per tutto il film. Ma un "caper" c'è eccome, ed è un piano a orologeria in piena regola. Di quelli che amiamo vedere e rivedere senza mai stancarci di applaudire a ogni singola rivelazione.

Dei cattivi meravigliosi
Ci sono Bob Gunton, nei panni del direttore Norton, e Clancy Brown, nel ruolo del capo dei secondini Hadley. Due incredibili facce da cinema, due caratteristi impareggiabili nel creare cattivi indimenticabili, che amiamo odiare. Brown è anche il Kurgan in Highlander, tanto per capirci.

Un grande cast di contorno
Non ci sono solamente Tim Robbins e Morgan Freeman a rendere grande Le ali della libertà. Il lavoro di squadra è importante, e Darabont lo sa. Per questo ha riunito un team di grandi caratteristi, da Jeffrey DeMunn a James Whitmore, da William Sadler ai già citati Clancy Brown e Bon Gunton.

Un esordio coi fiocchi
Frank Darabont si era già fatto le ossa come sceneggiatore quando, nel 1987, convinse Stephen King a vendergli per 5000 dollari i diritti della novella Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank, pubblicata nella raccolta Stagioni diverse (la stessa di Stand by Me, alias Il corpo).
Darabont riuscì a farsi approvare il progetto da Castle Rock Entertainment, la casa di produzione di Rob Reiner, regista che aveva già adattato due volte testi di King (Stand by Me e Misery non deve morire). Reiner voleva dirigere personalmente il film, ma Darabont resistette alla tentazione (l'offerta per lui sarebbe stata estremamente vantaggiosa, circa 3 milioni di dollari). La scommessa fu vinta e Darabont poté così esordire alla regia.

Il meglio di Stephen King
Adattare un testo di Stephen King al cinema è sempre molto difficile. Lo scrittore riempie le sue pagine di dettagli sui suoi personaggi, li approfondisce mentre intorno a loro costruisce un mondo complesso e ricco. Il cinema invece ha bisogno di sintesi, e dunque spesso la ricchezza dei testi di King si perde nel passaggio al grande schermo (vedi It Capitolo 2). Le ali della libertà, invece, funziona perché, come The Mist, adatta una novella dello scrittore. Un testo più breve che sembra già pensato per diventare un film.

Una rivincita soddisfacente come poche
Ci sono pochi film in grado di far godere così tanto lo spettatore per la rivincita del protagonista come Le ali della libertà. Quando Andy la fa in barba al direttore, incastrandolo per corruzione ed evasione fiscale e dimostrando anche che con la pazienza e il duro lavoro si ottiene qualsiasi risultato, è impossibile non alzarsi e applaudire ogni volta.

Speranza
Uno dei temi centrali del film è la speranza, capace di far mantenere a una persona la schiena dritta anche nelle peggiori circostanze. La speranza di Andy non muore mai, nonostante tutte le disavventure che gli capitano e che avrebbero piegato chiunque altro. La scena in cui Andy si appropria dell'impianto audio del carcere, per far ascoltare ai detenuti Le nozze di Figaro, simboleggia proprio le aspirazioni dell'uomo a volare libero al di sopra delle prigioni che la società gli costruisce intorno, sia fisici che metaforici.

Zihuatanejo
Il finale è idilliaco, quasi onirico. Un lieto fine guadagnato, eppure Darabont lo carica di connotati talmente ideali da instillare nello spettatore il dubbio che si tratti solo di una fantasia. Dell'ultimo desiderio di un vecchio detenuto.
Qualunque lettura vogliate dargli, Zihuatanejo è la quintessenza del luogo in cui fuggire per lasciarsi alle spalle la società e i suoi mali.