
Dieci stereotipi dei film classici che oggi sono intollerabili

Gli stereotipi del cinema ormai invecchiati - Il buon selvaggio
Il mondo e la società umana sono in continuo mutamento e, nonostante qualche passo indietro dovuto alla paura dei grandi cambiamenti, certi "valori" di un tempo sono oggi considerati, giustamente, l'esatto opposto. Una volta era normale segregare le persone in base all'etnia o alle preferenze sessuali, o ancora al genere. Oggi molte di queste cose sono fortunatamente superate, ma sopravvivono nei classici film che riportano gli stereotipi delle epoche in cui sono stati girati.
Un esempio? Il buon selvaggio. L'idea che le persone appartenenti a società diverse da quelle bianche e occidentali - ad esempio quelle africane o indiane, in genere quelle coloniali - fossero inferiori, meno civilizzate e dunque "selvagge", era molto diffusa fino a pochi decenni fa. Il concetto del buon selvaggio indicava appunto individui appartenenti a queste società che, in quanto primitivi, non erano stati corrotti dal cinismo e dalla violenza delle civiltà moderne. Erano figure tutto sommato positive, ma partivano dall'idea che solo la società occidentale fosse complessa e matura, un confronto impari tra noi "adulti" e il resto del mondo, visto come una massa di sempliciotti paragonabili a bambini.
Uno stereotipo presente in tanti film western e che non è davvero scomparso neppure oggi. Basti vedere Avatar, che si limita a spostarlo nello spazio per non offendere nessuno...
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Il colono eroico
All'opposto del buon selvaggio c'è il colono eroico, rappresentate della stessa visione del mondo: la civiltà occidentale era l'unica in grado di farsi carico della civilizzazione del terzo mondo. I coloni erano spesso visti come eroi che andavano, appunto, a portare democrazia e pace nei paesi meno sviluppati. Nel film Zulu, ad esempio, gli inglesi combattono contro l'omonima tribù e sono rappresentati sotto una luce positiva. Poco importa che gli Zulu, come i nativi nei western, fossero i veri "padroni di casa" a cui i bianchi invasori andavano a strappare le terre.

Cowboy contro indiani
Il rapporto tra coloni e nativi nel vecchio West era molto più complesso di come viene a volte dipinto, eppure è innegabile che fosse basato su un semplice assunto, il "destino manifesto" che voleva la razza anglosassone come superiore e dunque destinata a espandersi in America. Ne derivò una visione romantica dell'invasione occidentale che è stata celebrata nei western, dove i nativi, o "indiani", erano rappresentati come masse di individui tutti uguali, determinati a saccheggiare, violentare e uccidere i coloni. I western di John Wayne, come Ombre rosse ma anche, in parte, Sentieri selvaggi, erano imbevuti di questa visione del mondo. Lo stesso Wayne credeva nella superiorità dei bianchi su, ad esempio, gli afro-americani, che a detta sua avrebbero dovuto essere "educati" prima che fossero concesse loro le stesse chance dei bianchi. Altri tempi davvero.
Il sud degli Stati Uniti come utopia
La Guerra Civile americana mise fuori legge la schiavitù nel sud degli Stati Uniti, ma non pose fine alla segregazione razziale. I neri continuarono a lungo a lavorare nelle piantagioni con paghe ridicole, e a vivere in una società parallela a quella dei bianchi. Fa molta impressione, in questo senso, vedere oggi film come Via col vento e I racconti dello zio Tom, in cui il sud americano è rappresentato come una terra idilliaca, un mondo della nostalgia, più semplice e felice. In cui i neri, in fondo, stanno bene dove stanno, nella loro posizione subalterna a servire "padroni" bianchi tutto sommato buoni e affettuosi. E' ancora una volta lo stereotipo del buon selvaggio, declinato in versione classista. Quentin Tarantino lo ha messo lucidamente alla berlina in Django Unchained, dove quello stesso sud idilliaco viene smascherato per il luogo razzista e spietato che era in realtà.

La Blackface
Sempre nell'America razzista post Guerra Civile, ci pensarono le leggi Jim Crow a mantenere bianchi e neri nettamente segregati in molti stati americani. All'epoca, si parla dell'inizio del Ventesimo Secolo, era normale vedere spettacoli teatrali in cui attori bianchi si dipingevano la faccia di nero - la cosiddetta "blackface" - per imitare i neri e prenderli in giro a suon di stereotipi. Oggi la blackface è un tabù negli Stati Uniti. Qui la vediamo in una scena di Nascita di una nazione, film di David W. Griffith che, nonostante sia considerato un capolavoro tecnico, è effettivamente indifendibile sul piano etico, in quanto rappresenta positivamente il Ku Klux Klan.

Linciaggi ed esecuzioni pubbliche come una cosa giusta
Non mancano, specialmente nel filone western, parecchi casi di esecuzioni e linciaggi visti come unica possibile soluzione contro l'ingiustizia. Oggi sappiamo (quasi) tutti che una folla inferocita non otterrà mai vera giustizia, ma solo processi sommari e la condanna di persone magari anche innocenti sulla base di pregiudizi etnici e culturali. Un tempo non era un'equazione così scontata.

Sei gay? Ti farò diventare etero
Cinema e TV sono lastricati da storie di omosessuali "convertiti" all'amore etero da corteggiatori assidui. L'idea alla base di questo tipo di storie - che possiamo vedere anche in film relativamente recenti come In cerca di Amy - era che una persona gay non fosse tale per natura, ma a causa di traumi (violenze sessuali, delusioni amorose). E che dunque fossero "curabili".

Travestirsi da donna è comico
Molti sono anche i casi di uomini che si travestono da donna scatenando un effetto esilarante o, per lo meno, paradossale. Ad esempio in A qualcuno piace caldo, Tootsie o Mrs. Doubtfire. L'idea sottintesa, se ci pensa, è offensiva sia per i transgender che per le donne: un uomo vestito da donna sarebbe ridicolo in quanto è l'uomo a portare i pantaloni, e la donna gli è inferiore. Un uomo che si traveste in un film lo fa, solitamente, come parte di uno stratagemma nato da un fallimento. E non è un grande messaggio da dare a chiunque non si senta a proprio agio nel ruolo di alpha male prestabilito dalla società.

Frequentare minorenni è OK
Nel classico di Vincente Minnelli, Gigi, una procace adolescente fa impazzire gli uomini nella Parigi dei primi del '900. In Manhattan, Woody Allen frequenta la diciassettenne Mariel Hemingway (anche se vuole lasciarla). Un tempo erano guardate con meno sospetto le storie d'amore tra uomini adulti e ragazze molto più giovani, persino minorenni. Forse per via della percepita inferiorità delle donne, forse per la sopravvivenza di abitudini antiche, non era così strano che un uomo cercasse una partner giovanissima. Rivedendo questi film oggi, si fa fatica ad accettare una premessa che cozza totalmente con una sensibilità comune molto maturata.

Le donne vanno sculacciate
Anche qui si parte dall'assunto che la donna sia, in fondo, un bambino che va educato dagli adulti. E' molto famosa la scena di McLintock in cui John Wayne sculaccia Maureen O'Hara. Un'immagine iconica usata anche nella campagna promozionale del film e, soprattutto, sui poster. Impensabile oggi.