Nonostante l’accoglienza della critica sia stata piuttosto positiva, almeno dopo la proiezione in sala, il nuovo film di Takashi Miike presentato ieri sera in concorso non ci ha decisamente convinto. L’ennesima riproposizione della mitologia codificata dello spaghetti-western (non del western americano, precisazione fondamentale) in salsa pop-samurai dimostra molto presto di avere il fiato corto, e di essere soprattutto poggiata su delle idee di cinema abbastanza fragili. Trattandosi di un gioco, esplicitato fin dalle primissime immagini del film, in cui la guest-star Quentin Tarantino detta appunto le regole “ludiche” per partecipare a questa sarabanda visiva, “Sukiyaki Western Django” procede in questo lavoro di smembramento degli stilemi visivi e concettuali di tale genere, arrivando a dei picchi di non-significazione davvero troppo radicali per poter essere presi sul serio. Dopo pochissimi minuti infatti già non si capisce bene che tipo di lungometraggio si sta vedendo, se una parodia o un omaggio pulp, o ancora un’opera che si prende sul serio e rielabora il western per arrivare ad altro.
Oltre a questa mancanza endemica di “essenza” del genere, il film di Miike possiede anche alcune notevoli falle a livello puramente strutturale: l’azione e le coreografie conseguenti vengono distribuite lungo la storia in maniera abbastanza disorganizzata, lasciando soprattutto nella parte centrale enormi buchi riempiti da una serie interminabile di dialoghi assurdi e situazioni esageratamente statiche. L’ultima parte del film si rivela invece un calderone confuso di azione, miscelata secondo i dettami più specifici (ritmo forsennato, inquadrature sghembe, movimenti di macchina virtuosistici) che però non contribuiscono a fare davvero spettacolo.
Valutando il risultato finale di “Sukiyaki Western Django”, sembra quasi che l’autore si sia lasciato eccessivamente condizionare dalle pulsioni godereccie del suo eminente ospite americano, e ne abbia quindi subito l’influenza disgregante a livello puramente filmico: lo stile del film è infatti scoordinato, eterogeneo, insomma non in linea con i lavori, anche quelli più sperimentali, di un regista che ha comunque (quasi)sempre dimostrato un’attenzione specifica alla coerenza interna delle sue opere.
Se paragonato con il potente lavoro di ridiscussione del mito del western che ha portato avanti il bellissimo “The Assassination of Jesse James” di Andrei Dominik, presentato in concorso i giorni scorsi, questo superficiale “Sukiyaki Western Django” rivela immediatamente delle mancanze fondamentali, proprio sul versante del riappropriamento dei canoni dello stesso. Oltre l’effettivo divertimento di alcune scene non si va, ed anzi alla fine il prodotto causa una malcelata preoccupazione su quello che è il futuro di simili operazioni.


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Il non-western con Tarantino
Nonostante l'accoglienza della critica sia stata piuttosto positiva, il nuovo film di Takashi Miike, "Sukiyaki Western Django", non convince fino in fondo.

05.09.2007 - Autore: Adriano Ercolani