L’ultramilionario Eric Packer, giovane lupo di Wall Street, si sveglia con l’unica urgenza di aggiustare il proprio taglio di capelli e, a bordo della sua limousine attraversa Manhattan da est a ovest - non una grande distanza, insomma - in un giorno di tilt urbano dovuto alla visita del Presidente, alle relative manifestazioni e ad un corteo funebre. Il tragitto si trasforma in una simbolica e mortifera odissea dentro le ossessioni e le pulsioni di Eric, diviso tra un desiderio interno di distruzione e una minaccia esterna di aggressione.

Riadattare un romanzo di Don DeLillo è un po’ come sfidare l’andamento dello yuan. “Cosmopolis”, con il suo paradosso temporale e la sua carica metaforica era davvero poco disponibile a riversarsi sullo schermo. Il potere visionario di David Cronenberg, almeno sulla carta, era l’unica forza in grado di caricarsi sulle spalle una simile sfida.
La limousine-placenta, acusticamente isolata, che scivola lenta nelle strade come un mouse lasciando che l’apocalisse si succeda in una proiezione piatta di eruzioni urbane sugli schermi-finestrini; la riduzione di una società al cancro di speculazioni finanziarie incorporee; la fusione patologica tra reale e virtuale; l’esplosione e il congelamento del tempo e l’oppressivo senso di morte, sembravano elementi perfetti, pronti a combinarsi con il cinema più metafisico e nichilista di Cronenberg. Le attese insomma erano altissime, e come spesso accade, destinate ad infrangersi.
Se la forza visiva del film - il fascino conturbante della limousine che diventa un guscio e una via di accesso alla mente del protagonista - mantiene la presa, almeno nel primo contatto con il film, l’attrattiva viene mano mano inghiottita da un senso di artificio difficile da dissipare.

Ovvio, verrebbe da pensare, la materia è fluida, l’oggetto intangibile. Sarà questo il problema. E invece no. L’occhio di Cronenberg riesce a coglierla e a fermarla come uno stregone. No, il guaio sono i dialoghi, prolissi, sghembi, stratificati in modo caotico. Una prova anche per il più attento degli spettatori. E’ come girare a vuoto intorno al nocciolo della questione, senza mai sviscerarla. Un atteggiamento urticante e snob. La scelta di invadere verbalmente lo schermo, oltre ad essere rischiosa di per sé, imporrebbe poi perlomeno la convocazione di un interprete raffinatissimo, enigmatico, magnetico e anche in questo caso: errore.
Robert Pattinson è sicuramente una decisione insolita e intrigante in termini commerciali e in termini artistici. Ma più che per i meriti dell’attore, in “Cosmopolis” il suo reclutamento finisce per ridursi ad una decisione visiva. Pattinson è - sempre sulla carta - l’incarnazione della bellezza, della gioventù, della ricchezza, della forza rampante del capitalismo. L’oggetto perfetto da smembrare.
…Sulla carta, appunto.
"Cosmopolis" è distribuito in Italia da 01 Distribution. Qui potete vedere il trailer.
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